Treno deragliato a Pioltello, Trenord fuori dal processo

Ex vertici verso l'archiviazione. Giudizio in vista solo per gli indagati di Rfi

Il treno deragliato a Pioltello

Il treno deragliato a Pioltello

Milano, 9 settembre 2019 - Per i vertici di Trenord finisce qui, per Rete ferroviaria italiana (Rfi) il processo è in vista. Pioltello, 25 gennaio 2018, il treno regionale Cremona-Milano deraglia poco dopo aver lasciato la stazione provocando tre morti e 46 feriti. Si è staccato un pezzo di rotaia da 23 centimetri, colpa di un binario usurato che cede di schianto. La tragedia è inevitabile. Sono le 6 e 57 quando tre vagoni impazziti vanno a schiantarsi contro un palo della luce e muoiono Pierangela Tadini, 51enne originaria di Caravaggio, in viaggio con la figlia di 18 anni ferita, Ida Milanesi, 61enne originaria di Caravaggio, dirigente medico dello staff di radioterapia dell’istituto Neurologico Besta e Giuseppina Pirri, 39 anni, di Cernusco sul Naviglio ma residente a Capralba (Cremona).

Venti mesi dopo, la Procura sta per chiudere l’inchiesta depositando gli atti dopo che indagini e perizie hanno ormai chiarito che le responsabilità vanno definite tra chi aveva l’onere della manutenzione della rete ferroviaria, mentre il convoglio non c’entra, xarrelli e ruote dei vagoni non hanno colpe. Dunque per l’ex amministratore delegato Cinzia Farisè e l’ex direttore operativo Alberto Minoia di Trenord, fin dall’inizio indagati come gli altri per disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, i magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano chiederanno l’archiviazione. Per gli altri nove sotto inchiesta tutti di Rfi - l’a.d. Maurizio Gentile e il direttore di produzione Umberto Lebruto, quattro tecnici che da quest’ultimo dipendono, più i tre finiti nel mirino dopo le perizie (il responsabile della direzione territoriale di produzione, quello dell’ufficio programmazione e controllo linee e il responsabile della diagnostica) - è invece solo questione di tempo.  Definite ormai dall’accusa le rispettive imputazioni, legate al ruolo avuto da ciascuno nella vicenda della mancata manutenzione della linea, dopo la chiusura formale dell’indagine prevista entro fine mese, i nove indagati avranno venti giorni di tempo per presentare le loro memorie, chidere di essere interrogati o indicare testi che i pm dovranno sentire. Poi gli inquirenti tireranno le somme e chiederanno il processo.

Agli atti dell’inchiesta c’è ancha la segnalazione di un operaio che s’era accorto del problema di quel giunto già 5 mesi prima del disastro, con tanto di relazione che ne suggeriva il ricambio «quanto prima». Per l’accusa andava per lo meno sorvegliato costantemente con gli ultrasuoni. Invece infilarono lì sotto una zeppa “tampone” in legno, rimandando la sostituzione all’aprile dell’anno successivo. Il treno deragliò a gennaio. Sullo sfondo, l’ipotesi avanzata dagli investigatori che - nonostante la consapevolezza del possibile rischio - il ritardo possa essere stato determinato da una serie di difficoltà che i lavori avrebbero comportato per il gestore della rete: blocco del traffico, indizione di un bando d’appalto, spese rilevanti.

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