Treno deragliato a Pioltello, il disastro si poteva evitare

Ultimo accertamento della Procura pronta a chiudere le indagini per 11 persone

Uno dei vagoni deragliati a Pioltello

Uno dei vagoni deragliati a Pioltello

Milano, 4 giugno 2019 - Resta un solo un dubbio. Un ultimo accertamento tecnico che non riguarda più il binario spezzato ma il treno. Per la Procura è chiaro fin dall’inizio che la tragedia di Pioltello un anno e mezzo fa - quel convoglio di pendolari Cremona-Milano che una gelida mattina di gennaio deraglia e finisce contro un palo della luce con tre passeggere morte e quarantasei feriti - si compì perché un pezzo di 23 centimetri di rotaia si era staccato dal binario usurato. E dalla maxi consulenza tecnica affidata agli esperti, d’altronde, nessuna possibile concausa del disastro è finora emersa: in particolare sono risultati “assolti” sia i carrelli che le ruote delle carrozze del treno coinvolte. Però agli inquirenti è rimasto un ultimo dubbio su quegli esiti, dubbio che hanno chiesto ai tecnici di approfondire e di chiarire. Poi, se tutto filerà liscio, l’inchiesta potrà dirsi sostanzialmenrte chiusa.

Entro fine luglio probabilmente il deposito degli atti, dopo l’estate - sentiti eventualmente gli indagati o raccolte le loro memorie difensive - partirà la richiesta di rinvio a giudizio. È probabile che l’anno prossimo si possa celebrare il processo.

Undici sono al momento gli indagati. Agli otto originari - i vertici di Rfi-Rete ferroviaria italiana responsabile della rete, quelli di Trenord che si occupano dei convogli e quattro tecnici di Rfi settore manutenzione - si sono aggiunti di recente tre nuovi nomi, tutti dipendenti di Rfi. Sono Ivo Rebai, responsabile della direzione territoriale di produzione di Milano; Moreno Bucciantini dell’ Ufficio programmazione e controllo linee e il responsabile della diagnostica Marco Gallini. Per tutti i reati ipotizzati sono gli stessi: disastro, omicidio plurimo e lesioni colposi.

Gli ultimi indagati dovranno rispondere in particolare dei ritardi legati alla mancata sostituzione della parte di rotaia usurata, in corrispondenza di un giunto che univa i binari ed era malmesso da tempo. Agli atti dell’inchiesta c’è la segnalazione di un operaio che se n’era accorto già 5 mesi prima del disastro, con tanto di relazione che ne suggeriva il ricambio «quanto prima». Secondo i pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, il giunto sarebbe dovuto essere per lo meno sorvegliato costantemente con gli ultrasuoni. Invece si finì per infilare lì sotto una zeppa “tampone” in legno, rimandando la sostituzione all’aprile dell’anno successivo. Peccato che il treno deragliò a gennaio. Sullo sfondo, l’ipotesi avanzata dagli investigatori che - nonostante la consapevolezza del possibile rischio - il ritardo possa essere stato determinato da una serie di difficoltà che i lavori avrebbero comportato per il gestore della rete: blocco del traffico, indizione di un bando d’appalto, spese rilevanti.

 

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