Milano, al Policlinico trapianto di rene tra sieropositivi

Fino al 2018 queste operazioni non erano possibili, poi la normativa è cambiata. "Una grande possibilità per questi malati"

Il trapianto è stato effettuato al Policlinico di Milano (Archivio)

Il trapianto è stato effettuato al Policlinico di Milano (Archivio)

Milano - Pietro (nome di fantasia) era in lista d’attesa per il trapianto di rene da circa un anno; la svolta è arrivata poche settimane fa, quando si è reso disponibile un organo da un donatore positivo all’Hiv. Come lui. L’intervento è andato bene e Pietro è già a casa, ma i casi come il suo, fino a poco tempo fa, erano una rarità, spiegano dal Policlinico di Milano dov’è stato operato, in uno dei centri più importanti d’Italia, 3.700 trapianti di rene all’attivo dal 1969.

Perché se da un lato le persone sieropositive sono più esposte a sviluppare una malattia renale cronica, "in parte per meccanismi legati all’infezione, in parte per altre patologie spesso concomitanti come epatite B e C, e c’è anche un ruolo delle terapie antiretrovirali che hanno aumentato le aspettative di vita ma hanno effetti collaterali", spiega Giuseppe Castellano, direttore della Nefrologia, dialisi e trapianti di rene del Policlinico, dall’altro la possibilità di un donatore sieropositivo, ideale per la buona riuscita del trapianto in questi pazienti, in Italia non era prevista dalla normativa sulla sicurezza del donatore.

E dunque questi interventi avvenivano solo in pochi casi selezionati, in pochi centri, con pochi organi a disposizione. Nel 2018 la normativa è cambiata, aprendo alla donazione e al trapianto tra sieropositivi, e il Policlinico, spiega Mariano Ferraresso, primario della Chirurgia generale-Trapianti del rene, "nel 2019 ha ottenuto l’autorizzazione per questo tipo di trapianti", poiché "abbiamo tutte le competenze per poterci occupare di questi pazienti molto delicati, sul fronte nefrologico, infettivologico e chirurgico data la nostra lunga esperienza anche nel confezionamento di accessi per emodialisi nei pazienti con Hiv. Ma purtroppo la pandemia da Covid-19 aveva bloccato alla partenza il percorso".

Che è comunque partito, appena il coronavirus ha allentato la morsa, e dopo il primo trapianto di fegato con donatore e ricevente Hiv-positivi l’anno scorso, quello di Pietro è stato il primo di rene. "Poter contare su una maggiore disponibilità di organi riservati ai pazienti con Hiv - ragiona Ferraresso - aumenta le chance per questi riceventi, che non entrano in competizione con i malati sieronegativi, ovviamente più numerosi. Così la lista d’attesa scorre più velocemente per queste persone che a lungo si sono viste precluso il trapianto sulla base di valutazioni oggi del tutto superate, garantendo loro l’accesso a organi di qualità e senza rischi aggiuntivi".

 

 

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