La dose all’undicenne: "Porta questa a papà"

Spaccio di coca in piazza Prealpi, blitz dei carabinieri: 37 arresti. Il bimbo cresciuto in una famiglia di pusher: sono furbo come una volpe

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Milano, 13 aprile 2021  - "Fai velocissimo , vai da tuo padre, prendi ’sto... chiamalo da parte non ti far vedere davanti a nessuno...". "Stai tranquilla, so quello che faccio...". "Mettili qui...". "Sono intelligente". "Digli “guarda che sta arrivando...“ digli “papà sta arrivando un certo...". "Sono più furbo di una volpe". Sono le 21 del 12 aprile 2019, A.B. ha fretta: il cliente è già arrivato, sta aspettando la dose di cocaina davanti al bar. Così lei chiama il figlio, che all’epoca ha appena 11 anni (lo chiameremo Federico con un nome di fantasia), e gli affida senza indugio quell’involucro: deve consegnarlo al padre R.P. (omettiamo le generalità dei genitori per non rendere riconoscibile il minorenne) senza dare troppo nell’occhio. E il bambino, che cerca anche di compiacere la madre e di rassicurarla sulle sue capacità, esegue, uscendo di corsa. C’è anche questo risvolto choc negli atti dell’indagine dei carabinieri della Compagnia Duomo, coordinati dai magistrati della Dda Alessandra Dolci e Gianluca Prisco e guidati dal tenente Vincenzo Del Latte, che ieri all’alba si è chiusa con l’arresto di 37 persone (27 in carcere e 10 ai domiciliari), appartenenti a tre diverse batterie di spacciatori di droga. Quella più strutturata, l’associazione a delinquere capeggiata dal quarantacinquenne di Petilia Policastro Gabriele Argirò alias "Hulk" (già finito in manette nel 2008 come luogotenente di Mario Carvelli) e dal suo stretto collaboratore Domenico Iamundo, gestiva lo smercio al dettaglio nella zona di piazza Prealpi (storico avamposto dei narcos legati al clan della ‘ndrangheta reggina Serraino-Di Giovine) e aveva il quartier generale proprio nell’abitazione dove risiedeva la famiglia del piccolo Federico, ormai da tempo seguito dai Servizi sociali e ora affidato a una comunità. L’adolescente avrà tempo per dimenticare quello che ha visto in questi anni e provare ad allontanarsene definitivamente, supportato da chi gli sta accanto in questo momento. Certo, non sarà affatto facile, anche perché l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alessandra Simion elenca diversi episodi in cui l’allora undicenne è stato coinvolto in prima persona nei traffici dei genitori. Un esempio su tutti . Il pomeriggio del 22 marzo 2019, il padre R.P. chiama la moglie per avvisarla del viaggio notturno con destinazione Mestrino (in provincia di Padova) per una consegna di droga. Federico prende il telefono: "Verso che ora andiamo?", chiede. "Eh tardi", replica il papà. "Ma il tuo amico lo devi vedere di notte?", domanda il ragazzino. "Oh, mi fai parlare con la mamma per favore", urla l’uomo. Che poi se la prende con A.B.: "Ma m., gli passi il telefono al bambino oh?". "Perché?", la risposta stranita. "Ah... ma pure tu... svegliati", dice R.P., che evidentemente non è affatto preoccupato per l’educazione del figlio, bensì per l’eventuale intercettazione della chiamata in corso. E la dimostrazione si ha qualche ora dopo, quando R.P. e Federico partono per il Veneto per incontrare l’acquirente marocchino Mohamed Moussalim, che verrà poi arrestato con 313 grammi di cocaina e 5.275 euro in contanti: sarà proprio l’undicenne a sistemare nel bagagliaio lo zaino rosso con la "roba". Non solo droga, però. Nell’appartamento della famiglia P. (e in particolare nella cantina di pertinenza), dove A.B. e una parente non facevano altro che pesare coca e confezionare dosi per i "cavallini", i militari della Duomo hanno sequestrato pure un mini arsenale di armi rubate: cinque pistole (più la sesta trovata addosso a R.P. durante il primo controllo in via Mac Mahon), una carabina Romtehnica modello Ak, un giubbotto anti-proiettile e un paio di manette d’acciaio. Quel giorno, marito e moglie furono arrestati. Poco male per il gruppo criminale guidato da Argirò: il ruolo di R.P. venne subito preso da Antonio Siro Velotti, 45 anni, che riforniva abitualmente anche Gabriele Antonio Pugliese, Saverio Fortunato e Roberto Porcelli, parte di "un gruppo operante in Austria", sottolinea il giudice Simion. A testimonianza della solidità del gruppo di Argirò (a proposito di vecchie conoscenze, in cella è finito pure Antonio Salvatore Pietromartire, fratello del ben più quotato Armando detto "Calabria"), il gip pone anche l’attenzione sull’utilizzo di "sofisticati dispositivi telefonici criptati, al fine di intrattenere contatti telefonici tra loro con i depositari dello stupefacente". Dispositivi telefonici come quello che Iamundo perse alla fine di luglio del 2019: qualcuno provò a entrarci, ma a quel punto il sistema di difesa interno bruciò all’istante i dati in memoria, dando immediatamente conto via alert alla donna "custode del software di management".

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