Taglio alle pensioni d’oro: il sì della Corte dei Conti

Stop al ricorso di un ex magistrato che incassa più di 100mila euro lordi annui. Ok alle decurtazioni Inps e niente rivalutazione Istat fino alla fine del 2021

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di Nicola Palma

Sì alla decurtazione dell’assegno mensile, fino alla fine del 2021. Sì al blocco della perequazione, vale a dire della rivalutazione dell’importo parametrata all’aumento del costo della vita. Il tutto in linea con il recente pronunciamento della Corte Costituzionale sulle cosiddette "pensioni d’oro". Sì, perché è proprio su questo argomento che è stata chiamata a pronunciarsi la Corte dei Conti della Lombardia, sollecitata dal ricorso di un ex magistrato con 41 anni di contributi e un trattamento previdenziale superiore a 100mila euro lordi annui. Cioè proprio la soglia oltre la quale la legge 145 del 2018 (la Finanziaria 2019 varata dal primo governo Conte) ha introdotto dal primo gennaio 2019 e fino alla fine del 2023 un contributo di solidarietà. Un prelievo straordinario – cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle ai tempi in cui condivideva con la Lega la guida dell’esecutivo – declinato su cinque fasce in forma progressiva: taglio del 15% sulla parte di assegno superiore a 100mila euro e fino a 130mila; del 25% sulla parte compresa tra 130mila e 200mila; del 30% tra 200mila e 350mila; del 35% tra 350 e 500mila euro; e del 40% oltre i 500mila euro. Di più: la norma ha previsto pure lo stop alla perequazione automatica dell’assegno mensile. L’ex magistrato ha presentato ricorso ai giudici contabili per contestare le decurtazioni disposte dall’Inps.

In particolare, C.M.S. (nel dispositivo della sentenza le generalità sono state coperte da omissis) ha rimarcato "la palese ingiustizia e irragionevolezza delle disposizioni contestate, che avrebbero inciso significativamente sull’affidamento al proprio trattamento pensionistico", in assenza di una ragione giustificativa "su un piano solidaristico accettabile nel quadro costituzionale" e per un periodo temporale "eccedente i limiti della programmazione triennale di bilancio". In sintesi: "Il sistema introdotto dal legislatore risulterebbe palesemente ingiusto e incostituzionale". A causa in corso, nel novembre scorso, è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale, a cui avevano precedentemente rimesso la questione il giudice del lavoro di Milano e le sezioni regionali della Corte dei Conti di Friuli Venezia Giulia, Lazio e Sardegna. La Consulta ha dichiarato la parziale incostituzionalità del comma che ha stabilito la decurtazione delle "pensioni d’oro" per cinque anni, riducendo a tre il periodo (fino alla fine del 2021); rigettata, invece, la questione di costituzionalità del blocco della perequazione, in quanto questa misura non viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Dopo aver prodotto in aula quel verdetto, l’ex magistrato ha comunque chiesto un rinvio "allo scopo di meglio valutare gli effetti della decisione della Consulta".

Un surplus di tempo ritenuto inutile dalla Corte dei Conti, che ha deciso in pochi giorni: i tagli effettuati finora dall’Inps sono pienamente legittimi (e lo saranno fino a fine anno); e nulla va restituito al pensionato.

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