Strage in Tribunale, l'appello del padre dell'avvocato ucciso

La battaglia della famiglia di Lorenzo Claris Appiani: nostro figlio morto per incuria

Aldo Claris Appiani

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Milano - Aldo Claris Appiani è tornato a Milano dall’Isola d’Elba per ricordare il figlio Lorenzo e le altre due vittime, Fernando Ciampi e Giorgio Erba, durante la messa che verrà celebrata domani mattina nella chiesa di San Pietro in Gessate, a sei anni dal raid omicida di Claudio Giardiello al Palazzo di giustizia. Di sera parteciperà con la moglie, Alberta Brambilla Pisoni, a un incontro in diretta dalle 20 sulla pagina Fecebook dell’Unione Nazionale Vittime con altri uomini e donne che "hanno toccato con mano l’abbandono da parte dello Stato". Rappresentanti dei comitati di vittime delle stragi di Rigopiano, Viareggio e del Ponte Morandi di Genova. "Ricordiamo, nell’anniversario della strage in Tribunale – spiega – 107 persone innocenti morte a causa di carenze nella prevenzione, ritardi nei soccorsi, lacune nella sicurezza". Le stesse falle che hanno consentito all’immobiliarista fallito Giardiello, che sta scontando l’ergastolo, di entrare a Palazzo di giustizia armato di pistola. La mattina del 9 aprile 2015 uccise l’avvocato Lorenzo Claris Appiani, il Ciampi e il coimputato Giorgio Erba. Sei anni dopo, che messaggio volete lanciare? "Il nostro obiettivo è quello di ottenere finalmente l’istituzione di un garante nazionale delle vittime, che sia nominato direttamente dalle associazioni con l’obiettivo di difendere i nostri diritti. In ogni grande città esiste un garante dei detenuti, mentre invece le vittime restano sole, senza un supporto psicologico e legale. Da parte di alcune forze politiche abbiamo ricevuto sostegno a parole ma senza azioni concrete. Ora non vogliamo che questi temi scompaiano dall’agenda politica, durante l’incontro ne discuteremo con il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto". Sul fronte della sicurezza in Tribunale sono stati fatti passi avanti? "L’azione di Giardiello ha messo alla luce l’incuria e l’abbandono. Qualcosa è stato fatto ma i problemi restano, a partire dall’ingresso in via Manara". Sul raid di Giardiello ci sono aspetti ancora da chiarire? "Secondo noi non è ancora chiaro come abbia fatto a portare dentro l’arma, ma questi aspetti rischiano di essere una esercitazione scolastica, che non porterà in vita mio figlio. Attendiamo il processo d’appello bis a Brescia nei confronti del vigilante Piazza (la Cassazione ha annullato la condanna per carenza nelle motivazioni, ndr), ma noi abbiamo sempre detto che non vogliamo un capro espiatorio". Intanto avete avviato una causa civile contro ministero della Giustizia, Comune di Milano e la società di vigilanza privata All System, chiedendo un risarcimento. Quando è prevista la sentenza? "Sta andando per le lunghe, e la sentenza potrebbe arrivare tra un anno. Per noi è importante che vengano accertate le responsabilità, fortunatamente la nostra famiglia non ha problemi economici ma alla signora Erba è mancato da un giorno all’altro il sostegno del marito. E finora, visto che Giardiello è nullatenente, nessuno ha ricevuto un risarcimento". In questi anni Giardiello ha mai cercato un contatto con voi? "Non riesco neanche a immaginare l’idea. Sono profondamente contrario alla giustizia riparativa, se una persona è pentita allora deve rimanere in galera a meditare, senza cercare di ottenere benefici. Nostro figlio è morto per niente, resta il ricordo di una persona meravigliosa e le tante manifestazioni d’affetto di colleghi e amici".

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