Via Palestro, un pentito non basta: Tutino assolto per la strage mafiosa

Rischiava l’ergastolo come basista. I giudici: prove insufficienti LE TAPPE DELLA VICENDA di Marinella Rossi

Un' immagine d' archivio dell'attentato a via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993

Un' immagine d' archivio dell'attentato a via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993

Milano, 27 giugnno 2015 - Non basano le parole del pentito. Anche se è un autorevole boss di Cosa Nostra che ha riscritto storia e dinamica persino della strage di Capaci e le cui parole d’accusa non hanno mai portato a un’assoluzione. Finora. Non bastano per condannare 22 anni dopo il 27 luglio 1993 l’uomo accusato di essere il basista “milanese” della strage di via Palestro. Le parole di Gaspare Spatuzza - senza riscontri fattuali e senza il sostegno di altre chiamate di un secondo collaboratore di giustizia - non comportano l’ergastolo per Filippo Marcello Tutino. Il 13 gennaio 2014, l’uomo ricevette una misura cautelare in carcere (là già a scontare una pena a 10 anni per mafia), in forza della storia riscritta da Spatuzza sugli attentati al patrimonio artistico e culturale del Paese; questi lo inseriva, come supporto logistico, nel commando dell’autobomba sotto il Padiglione d’arte contemporanea che fece cinque vittime (un vigile urbano, tre pompieri e un immigrato addormentato nei giardini di via Palestro).

Candidato al fine pena mai, richiesta dal pubblico ministero Paolo Storari, Tutino ieri è stato assolto dall’accusa di strage con finalità mafiosa «per non aver commesso il fatto» dai giudici della Prima Corte d’assise di Milano (presidente Guido Piffer), in base al secondo comma del 530, che, con approssimazione fatto corrispondere alla vecchia insufficienza di prove, recita: «Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato». E, se Tutino non fosse già in carcere a scontare la più banale pena per fatti di droga e armi (a Spoleto da dove assiste in videoconferenza alla lettura del verdetto), sarebbe subito scarcerato.

Tutino, che era stato esiliato a Milano a fine 1991 dopo uno sgarro ai fratelli Graviano del quartiere Brancaccio sul provento di una partita di sigarette, avrebbe avuto modo di riabilitarsi offrendo informazioni e supporto logistico allo stesso Spatuzza e al resto del commando inviato a dare fuoco alle polveri, dopo via Fauro a Roma e via dei Georgofili a Firenze, anche al Pac di Milano. Il suo ruolo, secondo l’accusa, era stato perfettamente assolto: ricevere il gruppo di fuoco alla stazione Centrale, rubare la Fiat Uno, imbottirla di dinamite. Le cinque vittime, più i dodici feriti, sarebbero stati un rischio di impresa - secondo la ricostruzione dello stesso Spatuzza e ieri anche del difensore di Tutino, Flavio Sinatra, che puntava ad attenuare il danno di Tutino -, «un incidente di percorso, in quanto lo stesso Spatuzza aveva spiegato che l’obiettivo di Cosa Nostra era di danneggiare i monumenti ma non, in quella fase dell’offensiva mafiosa, attentare alla vita delle persone». Ma questa del legale era solo una richiesta subordinata all’assoluzione piena, superata dal verdetto. Di cui Tutino si dice «contento, perché finalmente qualcuno gli dà ragione, ma la sua è una soddisfazione misurata perché era conscio di non c’entrare nulla con questa vicenda».

marinella.rossi@ilgiorno.net

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