Serravalle, storia di una “non inchiesta“ "Amarezza per quei punti mai chiariti"

Antonio Di Pietro consigliò ad Albertini di presentare l’esposto: i fatti gli hanno dato ragione, l’operazione fu un danno

Migration

di Andrea Gianni

L’epilogo giudiziario del “caso Serravalle“, dopo che la Cassazione ha reso definitive le maxi-sanzioni per un totale di circa 44 milioni di euro inflitte dalla Corte dei Conti a Penati (morto nel 2019) e 11 suoi ex collaboratori, lascia "soddisfazione e amarezza". Soddisfazione perché l’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini "ci ha visto giusto quando nel 2005 denunciò la violazione del patto di sindacato e il danno erariale provocato dall’operazione". Amarezza perché "la vicenda non è stata approfondita a sufficienza dal punto di vista penale, e non ha trovato risposta una domanda: Perché è stato fatto questo? Perché quelle azioni sono state pagate da un ente pubblico a un prezzo sproporzionato? La prescrizione è sempre una sconfitta". A tornare su un caso giudiziario che si è trascinato per 16 anni, fino alla sentenza dello scorso dicembre, è Antonio Di Pietro, ex magistrato del pool di Mani Pulite, che fu consultato da Albertini prima di intraprendere la battaglia a suon di carte bollate contro l’operazione che portò la Provincia di Milano, all’epoca presieduta da Filippo Penati, ad acquisire il pacchetto di controllo assoluto della Milano Serravalle, la società che gestisce le tangenziali milanesi, comprandone a caro prezzo il 15% dal costruttore Marcellino Gavio.

Che consiglio diede ad Albertini?

"All’epoca ero europarlamentare e, dopo averlo ascoltato, gli consigliai di sollecitare la magistratura penale e contabile. E, alla fine, ha avuto ragione. Parlai di un possibile caso di ingegnerizzazione della corruzione, come ho fatto per altre vicende e in termini generali. In questo caso non è stato dimostrato se ci fu corruzione o meno, perché le indagini non sono state fatte".

Che cosa intende per ingegnerizzazione della corruzione?

"Con Mani Pulite abbiamo scoperto l’acqua calda. Da allora la corruzione, prima alla luce del sole, si è ingegnerizzata. Sulle tangenti si paga pure l’Iva, la tangente viene fatturata. Voglio dire che la corruzione è sempre più sofisticata, con mille sistemi per nascondere le mazzette dietro una legalità apparente. Nel gioco fra guardie e ladri il ladro parte in vantaggio, ma in qualche caso capita che la guardia arrivi prima. Negli ultimi anni si scoprono più tangenti rispetto al passato".

Tornando al caso Serravalle, che eredità lascia questa lunga vicenda giudiziaria?

"Albertini fu accusato di muoversi per interesse politico, cioè per contrastare Penati, che a differenza sua era di centrosinistra. L’operazione della Provincia, come hanno stabilito i giudici, comportò un effettivo danno erariale. Una normale due diligence non avrebbe potuto non vedere che le azioni erano vendute da Gavio alla Provincia a un prezzo sproporzionato rispetto al loro valore. Perché la Provincia accettò quel prezzo? Fu un errore madornale, dettato forse da ignoranza o superficialità. Non si può parlare di dolo perché l’aspetto penale non è stato coltivato, è stata una non inchiesta. L’insegnamento da trarre è che, in questi casi, bisogna mettere da parte il colore politico e guardare i fatti. Ma c’è anche un altro aspetto da sottolineare".

Quale?

"Un’accurata indagine avrebbe anche chiarito ruoli e responsabilità, mentre invece in questo caso tutti gli assessori della Giunta che approvò l’operazione sono finiti nello stesso calderone. La prescrizione è sempre una sconfitta, e la giustizia non ha fatto una bella figura".

Una vicenda emblematica anche per i tempi lunghi della giustizia, 16 anni per avere la sentenza definitiva.

"È vero che la giustizia è lenta, ma ci sono casi in cui questo si manifesta con conseguenze ancora più gravi".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro