Milano, sentenza pilota su rider: "Zero vincoli. Niente contratti fissi"

Consegnare tutti i giorni non basta peravere diritto all’assunzione

Un rider per le vie di Milano (Fotogramma)

Lucidi Consegna a domicilio di cibo, consegna eco sostenibile, L' app che ti porta a casa i piatti di qualita', nella foto Ragazzo in bicicletta Foodora nel Quartiere Porta Nuova (Duilio Piaggesi, Milano - 2017-05-23) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate (Duilio Piaggesi, Foto Repertorio - 2018-04-12) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

MIlano, 14 settembre 2018 - L’ex rider milanese Mohamed Elazab «era libero di decidere se e quando lavorare». Un elemento che «rappresenta un fattore essenziale dell’autonomia organizzativa», quindi «incompatibile con il vincolo della subordinazione». Principi messi nero su bianco dal giudice della sezione Lavoro del Tribunale di Milano Giulia Dossi, nelle motivazioni della prima sentenza milanese su un ricorso presentato da un rider. Anche il controverso meccanismo dell’“abbassamento della fedeltà”, penalizzante per i rider che rifiutano un certo numero di consegne, secondo il giudice «non è assimilabile all’esercizio del potere disciplinare» tipico del lavoro subordinato, perché «non dà luogo all’applicazione di sanzioni afflittive, ma solo a una rimodulazione delle modalità di coordinamento in funzione dell’interesse del committente ad una più efficiente gestione dell’attività». Meccanismo che «non mette comunque in discussione la libertà del prestatore di scegliere giorni e orari di lavoro».

Mohamed Elazab, assistito dagli avvocati Tommaso Dilonardo e Michela Mantarro, aveva iniziato una battaglia giudiziaria contro Foodinho, società di proprietà della spagnola Glovo, specializzata nelle consegne a domicilio tramite app, anche «a nome di tutte le persone che lavorano in queste condizioni». Per quattro mesi e per circa 17 ore al giorno il 23enne aveva effettuato consegne con la propria auto, fino a quando non è stato tamponato durante il lavoro ed è rimasto a casa per l’infortunio. Nel ricorso chiedeva, in sostanza, di essere riconosciuto come lavoratore subordinato a tempo indeterminato e che Foodinho venisse condannata a reintegrarlo. Richieste respinte il blocco dal giudice.

E le motivazioni, appena depositate, della sentenza emessa lo scorso 5 luglio potrebbero scoraggiare altri rider intenzionati a ricorrere alle vie legali. «La sentenza è così ben motivata - ammette l’avvocato Dilonardo - che allo stato è difficile che venga ribaltata in appello. Il giudice ha applicato le norme vigenti, anche se a mio parere questo tipo di lavoro ha modalità ancora più invasive rispetto a quelle tradizionali dell’impiego subordinato. Certo che se il lavoro è quadrato e le norme sono tonde, è normale che non combacino». Mancano, secondo il giudice, gli elementi tipici del lavoro subordinato, come «continuità del rapporto, stabile e organico inserimento del lavoratore nel ciclo produttivo (...) osservanza di un determinato orario, compenso fisso e predeterminato». Nonostante il rider lavorasse in maniera continuativa e con strumenti di lavoro forniti dalla società (app e borsa termica) manca «un numero significativo» di elementi «sufficiente ad asseverare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato». Elazab ha ottenuto, però, un punto a favore, che gli permetterà almeno di evitare il pagamento delle spese legali sostenute da Foodinho. Il giudice, infatti, ha chiarito che «la novità e la complessità della questioni trattate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite».

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