"Sei anni di battaglie per Carlotta Processo simbolo: basta violenze"

Giorgia Benusiglio: la sentenza ridà dignità a mia sorella. Pena lieve? Guardo il bicchiere mezzo pieno

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di Andrea Gianni

"Sei anni di carcere sono meno di trenta, ma per noi l’importante è che Venturi sia stato riconosciuto colpevole per la morte di mia sorella, come abbiamo sempre sostenuto". Giorgia Benusiglio non è riuscita a trattenere le lacrime, al termine di una camera di consiglio che mette un primo punto fermo dopo sei anni di misteri. La morte di Carlotta Benusiglio, stilista di 37 anni trovata impiccata con una sciarpa ad un albero nei giardini di piazza Napoli, a Milano, la notte del 31 maggio 2016, secondo il gup Raffaella Mascarino fu causata dal fidanzato Marco Venturi. Probabilmente dalle continue vessazioni, fisiche e psicologiche, e dalle minacce che il compagno le avrebbe inflitto almeno per due anni. L’uomo non è stato condannato per omicidio volontario, accusa contestata dalla Procura che aveva chiesto 30 anni di carcere, ma per il reato meno grave di "morte come conseguenza di altro reato", lesioni e stalking. La sentenza: sei anni di reclusione.

Giorgia Benusiglio, una pena molto più lieve rispetto a quella chiesta della Procura.

"Io sono abituata a vedere il bicchiere mezzo pieno, e questa sentenza ridà dignità a mia sorella. Aspettiamo le motivazioni per valutare meglio la decisione del giudice, ma l’importante è che Venturi sia stato riconosciuto colpevole, e non di istigazione al suicidio. Bisogna fare i conti con le leggi italiane, ma siamo soddisfatti anche per il valore simbolico che ha avuto questo processo".

Sua sorella è stata una delle tante donne vittime di violenza. Come arginare il fenomeno?

"Sicuramente servirebbero pene più severe, una vera protezione per chi denuncia e sostegno per i familiari. Quella di mia sorella è stata una morte annunciata. Noi eravamo terrorizzati, ci sentivamo che sarebbe finita male e alla fine, purtroppo, mia sorella non c’è più. Non siamo riusciti a intervenire. Continuiamo ad assistere a casi di violenze e femminicidi, e le vittime sono lasciate sole di fronte a quello che viene definito come “amore malato“".

Che cosa rimane, sei anni dopo, della figura di sua sorella?

"Io penso a lei tutti i giorni. A volte, quando succede qualcosa che mi stupisce o mi fa ridere, mi viene ancora l’istinto di chiamarla. Poi mi accorgo che non c’è più. La mente gioca anche questi scherzi. Sei anni possono sembrare tanti, ma per me è come se fosse morta ieri. Questa sentenza, che mette un primo punto fermo nella vicenda giudiziaria, ci aiuterà anche a elaborare il lutto. Siamo consapevoli di aver avuto in qualche modo giustizia dopo tanto tempo, anche se Venturi non è stato condannato a trent’anni di carcere. Mi sento scombussolata, è stata una giornata faticosa e carica di tensione".

Venturi si è fatto sentire con voi, in questi anni?

"Solo due mesi dopo la morte di Carlotta mi ha mandato una email sostenendo che non si era suicidata. Poi più nulla, solo silenzio. Spero che per lui il carcere possa servire anche come recupero, per seguire un percorso serio ed evitare che ci siano in futuro altre vittime come mia sorella".

Lui ha intenzione di presentare ricorso in appello, sostiene di essere innocente.

"Noi andremo avanti con la nostra battaglia anche nei prossimi gradi di giudizio, non molliamo. È stato disposto anche un risarcimento nei nostri confronti, ma per noi è l’ultima cosa. L’importante è che, in qualche modo, lui sia stato dichiarato colpevole per la morte di mia sorella pur non essendo stato riconosciuto l’omicidio volontario".

Come famiglia in questi anni vi siete esposti anche pubblicamente. Come è maturata questa decisione?

"È stata una decisione difficile, quella di esporci pubblicamente per portare avanti la nostra battaglia, perché mia sorella al contrario di me era una persona molto riservata. Mi sembrava di violare la sua intimità, di fare qualcosa che a lei in vita non sarebbe piaciuto. Quando c’è stata la richiesta di archiviazione, abbiamo capito che in qualche modo dovevamo darci da fare, secondo le nostre possibilità, per evitare che sulla morte di Carlotta venisse messa una pietra sopra. Poi il caso è stato ripreso in mano dal pm Gianfranco Gallo, grazie a lui sono state avviate nuove indagini e infine si è arrivati a questo processo di primo grado con un altro pm, dopo tanti anni. Non so se il nostro contributo è servito a qualcosa, ma abbiamo fatto quello che ci sentivamo".

Lei si occupa da anni di lotta alle dipendenze, di strappare i giovani alla droga.

"Proseguo con gli incontri nelle scuole in collaborazione con il Dipartimento delle politiche antidroga, incontro i giovani e cerco di parlare con loro. Cerco di essere sempre positiva, mai negativa, e di vedere il bicchiere mezzo pieno in tutti gli ambiti. Non mi tiro indietro e ogni ragazzo che si allontana dalla droga anche grazie al mio contributo è un grande risultato".

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