Scuola, lo psicologo digitale: "Troppi ritardi, la Dad va ristudiata"

C'è preoccupazione: ragazzi demotivati, classi da “ribaltare” per non perderli, no a lezioni copia e incolla

Si torna purtroppo a parlare di Dad

Si torna purtroppo a parlare di Dad

Milano, 11 gennaio 2020 - Questo articolo è contenuto nella newsletter "Buongiorno Milano".  Ogni giorno alle 7, dal lunedì al venerdì, gli iscritti alla community del «Giorno» riceveranno una newsletter dedicata alla città di Milano. Per la prima volta i lettori potranno scegliere un prodotto completo, che offre un’informazione dettagliata, arricchita da tanti contenuti personalizzati: oltre alle notizie locali, una guida sempre aggiornata per vivere in maniera nuova la propria città, consigli di lettura e il commento di un ospite. Per ricevere via mail la newsletter clicca su  www.ilgiorno.it/buongiornomilano

«Dobbiamo convivere con la didattica a distanza. “Rassegniamoci“? No, prepariamoci. La scuola in presenza è insostituibile, e spero si torni in aula anche alle superiori il prima possibile, ma bisogna intervenire anche sulla Dad perché il rischio ora è la demotivazione degli studenti, che è più grave di quanto si immagini». Ivan Ferrero è lo “psicologo digitale e delle nuove tecnologie”, opera nelle scuole di Milano e dintorni e si occupa in particolare di adolescenti ed educazione digitale. La promuoveva già in tempi pre-Covid, oggi viene contattato da insegnanti e genitori che chiedono aiuto.

Tablet e pc sono stati “condannati“ e tenuti fuori dal portone fino a un anno fa. Adesso affidiamo a loro i ragazzi? «La didattica a distanza non è un fenomeno del qui ed ora, è destinata a rimanere presente. È giusto prenderne consapevolezza. Stiamo pagando il prezzo di una scuola arretrata da decenni. La pandemia ha scoperchiato questo ritardo, ha accelerato percorsi. Col primo lockdown ci sono state scuole - anche a Milano - che non hanno neppure iniziato con la Dad. E nell’estate non si è utilizzato il tempo per una formazione seria sul digitale. I docenti stanno facendo sforzi enormi, come gli studenti, ma rincorrendo le criticità».

Secondo gli ultimi dati Ipsos per Save The Children il 28% dei ragazzi dice che dall’inizio della pandemia almeno un compagno ha smesso di frequentare, si è “disconnesso“. «E non perché siano “svogliati”, come li dipinge un certo immaginario. Sono demoralizzati, demotivati. E il rischio non è “solo“ l’anno perso, anche se recuperare due o tre mesi alle superiori è complicato. Ma sul lungo periodo: la scuola instilla anche tramite l’insegnamento passioni, capacità critica. È a rischio il loro futuro».

Nella stessa indagine, il 44% degli studenti dice che i docenti hanno continuato a far lezione come se fossero in aula. «Lo vedo anche dal mio osservatorio. E questo copia e incolla non funziona. Per i tempi di attenzione davanti a uno schermo ma non solo. Bisogna riconsiderare l’ambiente digitale, il rapporto alunni-docenti, anche l’unità didattica per come è stata concepita non ha senso, mancando un contenimento spaziale e temporale. Va ribaltata la classe: l’insegnante deve diventare il facilitatore dell’apprendimento, la lezione e il materiale si costruiscono insieme e restano disponibili a tutti. Dobbiamo pensare ai rischi della Dad ma anche alle opportunità, cogliere l’eredità di tutto questo». 

Gli errori da evitare? «Il sovraccarico cognitivo e la information overload sono le prime trappole». 

Genitori e studenti stanno chiedendo aiuto? «Gli studenti non chiedono mai agli adulti, sto pensando a un progetto di peer-education. I genitori sì. Pensavano che l’emergenza sarebbe durata poco, ora si interrogano su come aiutare i figli, sono preoccupati». 

Sono venuti meno anche gli sportelli psicologici?  «In molte scuole si è agito di sottrazione: i laboratori sono stati “sacrificati”, si è spesso rinunciato a contributi da collaboratori esterni per paura ma soprattutto per evitare problemi burocratici. E si fa fatica anche a convertire gli sportelli di ascolto psicologici dall’off-line all’online. Ma bisogna trovare strategie e spazi, oggi più che mai, per non lasciare soli gli adolescenti».

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