Milano, lo “scarto” di Fontana? Quasi capolavoro

Il giallo della tela rifiutata dalla fondazione e promossa dai magistrati ma fuori dal catalogo

Esperti d’arte e tecnici hanno controllato l’opera fin nei minimi dettagli

Esperti d’arte e tecnici hanno controllato l’opera fin nei minimi dettagli

Milano 17 febbraio 2019 - Un lavoro di scarto, per la Fondazione intitolata al maestro. Per i giudici, invece, quel dipinto bianco a olio con squarcio e graffiti, anche senza data e firma, è indiscutibilmente di Lucio Fontana. Pittore, ceramista e scultore tra i promotori dello Spazialismo, celebre per i “tagli” inferti alle sue tele, per il tribunale civile è dunque autore di quell’opera di medie dimensioni (55 centimetri per 46) che l’attuale proprietaria acquistò nel 2014 per 50mila euro. A cedergliela, era stato chi a sua volta aveva ottenuto il quadro dal primo possessore, che aveva avuto la tela direttamente dalle mani di Fontana, a metà degli anni ’60. Una genesi dell’opera mai messa in discussione. Però la Fondazione intitolata al maestro di nascita argentina, una volta contattata per autenticazione e catalogazione dell’olio si era rifiutata, riconoscendo che in origine la mano era quella del celebre autore, ma che in seguito il quadro era stato «irrimedialmente compromesso da incidente che ne ha provocato la connessione con un telaio estraneo, tanto da essere scartato dall’artista».

Una tesi che però non ha trovato conferme in sede processuale. Le analisi scientifiche avevano infatti dimostrato, osservano i giudici, «che non vi era la presenza di sostanze adesive estranee» e che «il telaio si era attaccato direttamente al colore quando questo era ancora fresco». A quel punto la Fondazione aveva replicato che oltre all’assenza di data e firma (presenti invece in tutta l’opera pittorica di Fontana), la tela sarebbe stata del tutto atipica per stile realizzativo ed eccentrica rispetto ad altre creazioni simili. Ma per il tribunale civile, sezione spacilizzata in materia di impresa, presidente Claudio Marangoni, in realtà «non viene offerta alcuna evidenza, neppure embrionale, della presunta accidentalità del risultato creativo finale».

E se la Fondazione insiste parlando di «iato insuperabile tra la creazione voluta dal maestro, limitata cioè alla sua porzione dipinta, e l’opera da considerare invece nella sua interezza», per i giudici a questa «semplice ipotesi» si può agevolmente contrapporre l’idea che «si tratti di una sperimentazione isolata compiuta da Lucio Fontana», sicché «l’opera deve essere a tutti gli effetti considerata come autentica». Quella che invece il tribunale ha respinto, è la richiesta avanzata dalla proprietaria alla Fondazione Fontana di inserire la tela nel catalogo ufficiale tenuto e aggiornato dalla stessa. Ma «la Fondazione – concludono i giudici – svolge un’attività di verifica della autenticità delle opere su richesta dei proprietari e ne certifica l’autenticità secondo il proprio insindacabile giudizio».

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