Expo, Sala a processo per i verbali antedatati: "Non ricordo quelle firme"

Imputato di falso il sindaco si è difenso in aula

Giuseppe Sala in aula

Giuseppe Sala in aula

Milano, 16 aprile 2019 – Non ricorda il momento preciso in cui mise la firma su quei due verbali. Beppe Sala, oggi sindaco, quando era ad di Expo di firme ne mise a migliaia. Quelle due però, secondo l’accusa, le appose su verbali che portavano una data antecedente. Per questo ora Sala è davanti a un tribunale e deve difendersi dall’accusa di falso.

«Non badai alla data», assicura. Non aveva consapevolezza, dice, della retrodatazione dei verbali relativi alla commissione di gara per la Piastra dei servizi di Expo, l’ appalto più consistente di tutta la manifestazione. I due verbali servirono per sostituire in corso d’opera due componenti della commissione di gara e Sala ricorda che la questione della incompatibilità venne sollevata da Ilspa (Infrastrutture Lombarde spa, società partecipata da Regione Lombardia), ma per lui era solo «uno dei tanti problemi sorti in Expo e che era stato risolto in modo abbastanza veloce».

Velocità, urgenza. «C’era sempre il tema dell’urgenza. Ogni giorno - ricorda l’ex ad Expo - nonostante fossimo a tre anni dalla chiusura, era chiarissimo che eravamo in ritardo. Ogni giorno perso era un giorno in meno. È stata una lotta contro il tempo».

Rispondendo alle domande di uno dei suoi difensori, l’avvocato Salvatore Scuto, Sala ripete di non ricordare esattamente quando pose la firma sui due verbali, controllò la data soltanto dopo l’avvio dell’indagine (successe il 31 maggio 2012, ma i due atti avevano la data del 17 maggio, ndr), perché durante gli anni in cui fu amministratore delegato e commissario della società che gestiva l’Esposizione Universale ne firmò tantissimi e si fidava del suo staff tecnico-legale. «Questo non l’ho sentito come uno dei passaggi più rilevanti della storia di Expo. Per me la procedura era standard. La mia spesso era una verifica sommaria basata sulla fiducia che i tecnici e gli esperti avessero guardato tutto».

Sala ricorda solo che «si era ricomposta la commissione e non si era perso molto tempo», e che dopo la vicenda, in Expo era stata «messa in atto una mappatura del personale per evitare questi incidenti» e per individuare «eventuali incompatibilità».

Alla data di quei due verbali nemmeno badò. «Il mio scrupolo era che venissero individuate le professionalità migliori per coprire l’incarico di commissario». Il suo sguardo finì sui nomi, non su altro. E aggiunge di essere «sicuro di non aver mai parlato» della retrodatazione con l’ingegner Carlo Chiesa, uno dei manager che lavorava con lui.

«Spero fortemente di sì» risponde poi Sala uscito dall’aula ai cronisti che gli chiedono se spera di essere assolto. L’accusa di falso, del resto, è l’unica rimasta a suo carico dopo che la Procura generale - avocata l’indagine ai colleghi della Procura che volevano l’archiviazione - prima gli imputarono la turbativa d’asta e poi ripiegarono sull’abuso d’ufficio per l’assegnazione diretta all’impresa Mantovani dell’appalto sul verde pubblico di Expo. Sala è stato prosciolto definitivamente per questo.

L’accusa sosteneva che l’attuale sindaco avesse superato i limiti dei poteri di deroga di cui poteva disporre nel suo ruolo di commissario unico di Expo, all’epoca. In particolare, applicando in maniera non corretta il codice degli appalti per i servizi, affidando direttamente la fornitura degli alberi da piantare nel sito invece di indire una gara pubblica. Ma per il gup Giovanna Campanile, che lo prosciolse, «nessuna delle violazioni di legge indicate dall’accusa ha trovato conferma alla luce di valutazioni in punto di diritto o di fatto».

 

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