Milano, la scoperta: "Così al Sacco abbiamo isolato il vaiolo delle scimmie"

Il microbiologo Davide Mileto, 36 anni, una lunga gavetta: tutto è partito la sera del 24 maggio con la diagnosi su un 30enne tornato dalla Spagna

Davide Mileto, microbiologo del laboratorio di Microbiologia clinica al Sacco

Davide Mileto, microbiologo del laboratorio di Microbiologia clinica al Sacco

Milano - L’uomo dei virus. Davide Mileto è il microbiologo del laboratorio di Microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze all’ospedale Sacco di Milano che due giorni fa ha “stanato“ il monkeypox virus. L’agente patogeno è stato isolato assieme al suo team formato dal collega microbiologo Alessandro Mancon e dalle ricercatrici Micol Bianchi e Miriam Cutrera (definita "il mio braccio destro"). 36 anni, moglie e un figlio (una bimba è in arrivo) Mileto sgobba nei laboratori del Sacco dal 2011: prima come specializzando in microbiologia, dopo la laurea in biologia all’università di Perugia, poi come ricercatore, fino all’assunzione dal 2020 come dirigente biologo.

Che tipo di virus è il monkeypox? "I virus sono classificati in gruppi di rischio: il quarto livello è più pericoloso. Lo è Ebola, dal tasso letalità molto elevato e per cui non esistono né farmaci né vaccini. Nel caso di monkeypox parliamo di un agente di livello 2. È un virus a Dna che risente molto meno delle mutazioni del codice genetico. È profondamente diverso dal Sars-Cov-2 che essendo virus a Rna è portato per sua natura a mutare".

Secondo l’Oms «il numero dei casi potrebbe aumentare nei prossimi giorni». Concorda? "Essendoci un periodo di latenza non breve - l’incubazione può variare da 3 fino a un 21 giorni - è ragionevole l’ipotesi di poter registrare altri casi nei prossimi giorni ma non c’è motivo di destare allarme. Nella maggior parte dei casi questo virus causa una patologia autolimitante ma che non desta molte preoccupazioni, con sintomi come febbre, malditesta e pustole purulente. Di monkeypox esistono due varianti, entrambe originarie dell’Africa, sembra che questa epidemia derivi dal ceppo meno pericoloso".

Come siete arrivati ad isolarlo? "I virus sono patogeni intracellulari obbligati. Per poterli farli crescere c’è bisogno di cellule permissive all’infezione. Come laboratorio di Microbiologia in seguito al primo caso allo Spallanzani ci eravamo portati avanti con le linee di coltura cellulare. La sera del 24 maggio ho fatto la diagnosi del caso di un trentenne di ritorno dalla Spagna con i sintomi della malattia. Sono stati raccolti dei campioni biologici per ricercare il virus: dalle analisi abbiamo ricevuto conferma dell’esito di positività all’infezione. Abbiamo usato i campioni biologici “seminandoli“ sulle colture cellulari. La situazione è stata monitorata per alcuni giorni. Ieri (due giorni fa per chi legge ndr ) abbiamo osservato il classico effetto citopatico: le cellule erano distrutte dall’infezione. Abbiamo confermato la presenza del virus con saggio real time PCR e quindi possiamo dire di averlo isolato".

Quali sono i vantaggi di questo risultato? "Isolare un virus è come averlo sempre disponibile: ce lo abbiamo in coltura, lo possiamo far crescere. È possibile condurre studi, in particolare sulle eventuali differenze a livello genetico rispetto allo stesso virus identificato per la prima volta nel 1958. Poi possiamo saggiare l’attività di farmaci antivirali, verificando se la crescita virale nel substrato cellulare venga inibita dal farmaco. Altro risvolto è testare la risposta anticorpale della quota di popolazione vaccinata contro il vaiolo".

Cosa pensa dell’ipotesi di vaccinazione? "Servono ancora studi sulla immunità sviluppata dai soggetti sottoposti alla vaccinazione di routine del vaiolo. Non credo però che sia una casualità che gli episodi di positività di questi giorni siano a carico di pazienti giovani e non vaccinati".

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