Rossanda la milanese, dal liceo Manzoni alla Casa della Cultura

Comunista anticonformista, fondatrice del “Manifesto’’, la giornalista studiò e iniziò a fare politica nel capoluogo lombardo

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C’è molta Milano nella vita di Rossana Rossanda, la giornalista e scrittrice morta ieri all’età di 96 anni. La Rossanda, fondatrice del quotidiano Il Manifesto, comunista critica e anticonformista, nasce a Pola il 23 aprile 1924, ma passa la sua giovinezza nel capoluogo lombardo. Tra il 1937 e il 1940 “la ragazza del secolo scorso’’, come ha intitolato la sua autobiografia, frequenta il liceo classico Manzoni, dove anticipa di un anno l’esame di maturità. Si iscrive alla facoltà di Filosofia della Statale e diventa allieva di Antonio Banfi, che la fa avvicinare al pensiero di sinistra consigliandole le letture dei libri di Harold Laski, Karl Marx e Lenin.

Il “lungo viaggio attraverso il fascismo’’ della giovane Rossanda sfocia nell’adesione al comunismo. Partecipa alla Resistenza, si iscrive al Pci, ne diventa responsabile culturale. Contribuisce ad aprire la Casa della Cultura ("Tutta la sinistra e i laici dal 1951 cominciarono scendere le scale di via Borgogna").

L’annus horribilis del comunismo internazionale, il 1956, tra il rapporto di Chruscev sui crimini di Stalin e l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss, è uno choc per la Rossanda, che vive quei tragici momenti a Milano. Nella sua autobiografia, ricorda una frase che le disse Gaetano Invernizzi della Cgil: "Essere messi al muro dagli avversari è dura, ma dai compagni...". E lei aggiunge: "Il povero e l’oppresso non hanno sempre ragione. Ma i comunisti che si fanno odiare hanno sempre torto". Racconta che "in quel 1956 mi vennero i capelli bianchi, avevo 32 anni". Nel 1963 viene eletta alla Camera nelle liste del Pci, ma negli anni seguenti diventa sempre più critica nei confronti del socialismo reale. Nel 1968 aderisce alle rivendicazioni dei collettivi, nel 1969 fonda Il Manifesto insieme a Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri e viene espulsa dal Pci a causa della posizione contraria all’invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia.

Da allora resta distante dal Pci: "Lo strappo di Berlinguer fu lento e reticente. E così il Pci andò cieco e ammutolito fino al 1991 quando la bandiera rossa venne ammainata dal Cremlino".

M.Min.

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