Ripensare la fiscalità dei colossi web

Ruben

Razzante*

Il tema dell’equità fiscale è sentito in misura crescente anche nel web, dove però gli squilibri appaiono ancora accentuati. Lo documenta un’indagine dell’area studi Mediobanca sulle maggiori websoft mondiali, che fornisce dati particolarmente significativi sugli utili e le imposte non pagate dalle più importanti società del web nel triennio 2019-2021. Negli ultimi tre anni, peraltro contrassegnati da una crescita esponenziale degli utilizzi della Rete a causa della pandemia, i giganti del web hanno risparmiato 36,3 miliardi di tasse non pagate grazie ai risultati contabilizzati nei Paesi a fiscalità agevolata come Singapore, Irlanda e Isole Cayman. Nel 2021 risulta che circa il 30% dell'utile ante imposte è tassato in paesi a fiscalità agevolata, con un risparmio fiscale di 12,4 miliardi lo scorso anno. “L'aliquota media effettiva – si legge nel report - risulta pari al 15,4%, inferiore a quella teorica del 21,9% calcolata sui principali Paesi in cui operano”. Il discorso riguarda in modo particolare Meta, Microsoft Alphabet e Tencent. In generale, la tragedia del Covid ha ulteriormente evidenziato il divario di velocità di crescita tra le websoft e le multinazionali manifatturiere. Le prime, con un aumento del 50% di ricavi tra il 2019 e il 2021, hanno accelerato, mentre le seconde si sono fermate a un più 7,6% nel triennio. Il 2021 segna l'ultima fiammata dei giganti del web con un giro d'affari aggregato a quota 1.584 miliardi, pari al 90% del Pil italiano. Le emergenze internazionali dell’ultimo anno sembrano tuttavia aver fatto contrarre la loro redditività, con inevitabili ripercussioni sul clima aziendale. Nel report Mediobanca si auspica l'introduzione di una Global minimum tax per le multinazionali della Rete, il che comporterebbe una redistribuzione della base imponibile fra i paesi in cui effettivamente esse generano i propri profitti. *Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica