"Rinascere si può Abbiate cura di voi"

Ventisei anni, è stata aiutata dall’associazione Animenta "Ho sofferto per le parole velenose di chi non mi capiva"

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"Non ero mai soddisfatta. Avevo dei chili in più, li ho persi, e anche all’estremo opposto non stavo bene. Ero sempre inquieta, sentivo ferite invisibili. Il fatto che altri non le vedessero, e che mi facessero sentire “sbagliata“, persino “ingiusta“ nei confronti dei miei genitori perché a detta di queste persone io non ero “malata“, mi ha fatto stare sempre peggio. Sono rinata entrando in contatto con l’associazione Animenta. Ora sono quasi uscita dal tunnel e mi sono messa a disposizione per aiutare altre ragazze in difficoltà". Madia Legrottaglie ha 26 anni, è originaria della Puglia e vive a Milano da 7 anni. "Sono finita nel tunnel dell’anoressia. Ma finalmente ora vedo la luce".

Quando si è resa conto di avere un disturbo dell’alimentazione?

"Lavoro nel mondo della moda, mi sono laureata in Fashion styling. Ho sempre voluto esprimere la mia creatività ma non mi sentivo a mio agio nel mio corpo. Così ho perso molti chili. Se per esempio ero a un evento, indaffarata, mentre le protagoniste si preparavano, pensavo che sarei stata impegnata tutto il giorno e che avrei potuto saltare il pranzo, “giustificata“. Tengo però a dire quanto sia sbagliato pensare che modelle e anoressia sia un binomio indissolubile: ho conosciuto tantissime ragazze che hanno un rapporto sano con il cibo. Ero io a non essere mai soddisfatta di me".

Che cosa l’ha fatta soffrire di più?

"Le parole di certa gente. Sono state come veleno. Io soffrivo per questo mio malessere interiore e c’era chi diceva non fossi malata. Si rivolgeva a me come se volessi dare un ulteriore dispiacere ai miei genitori, che vivevano un momento duro. Ma io ero solo una ragazzina (ho iniziato anni fa a stare male) e mi sentivo ancora più sola".

Da quanto tempo vive a Milano?

"Da 7 anni. Mi sono trasferita a studiare dopo le scuole superiori".

Come ha fatto a trovare una via d’uscita dal “tunnel“?

"Lo scorso dicembre sono entrata in contatto con l’associazione Animenta (fondata a Roma da Aurora Caporossi, ventiquattrenne che a sua volta ha sofferto di disturbi alimentari e che ha creato una rete in tutta Italia, ndr) e ho subito capito di aver trovato l’aiuto che cercavo. Mi sono sentita capita, avvolta da solidarietà femminile. Penso non sia un caso che io mi sia fidata di ragazze e donne: in questi casi scatta la “sorellanza“, la solidarietà femminile. Io mi sarei dovuta laureare a breve e ho deciso di non comprare le bomboniere ma di destinare il budget all’associazione. Così è nata la nostra “storia d’amore“".

Ora è volontaria per questa associazione?

"Sì. Non ho ancora finito il mio percorso di rinascita ma voglio aiutare altre ragazze. Penso che l’esperienza di chi ha provato le stesse emozioni e si è trovata ad affrontare lo stesso problema possa essere preziosa. Fondamentale è l’aiuto di specialisti, da medici a psicologi a personale competente, ma anche il confronto con chi ha già vissuto l’incubo può fare la differenza".

M.V.

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