Ricerca più solitaria: effetto Covid

Cambiano anche gli spazi: donne e giovani più penalizzati, sono tornati meno nei campus rispetto ai colleghi

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di Simona Ballatore

La ricerca si fa più solitaria. E meno donne sono tornate a lavorare nei laboratori universitari, rispetto ai colleghi uomini. Altri effetti collaterali del Covid-19, che cambia spazi, che cambia il modo di fare ricerca stesso. Rischiando di ampliare distanze di genere che negli anni si stava cercando di assottigliare. A fotografare la situazione del “Covid-working”, com’è stato battezzato, è uno studio interdisciplinare del Politecnico di Milano, con Gianandrea Ciaramella, Alessandra Migliore e Chiara Tagliaro del Dipartimento Architettura, Ingegneria delle costruzioni e Ambiente costruito e con Massimo G. Colombo e Cristina Rossi-Lamastra del Dipartimento di Ingegneria gestionale. Sotto la lente le esperienze di 8.049 accademici universitari (49% donne, 51% uomini, con un’età media 51 anni) in tutta Italia tra il 24 luglio e il 24 settembre 2020. Sono stati interrogati sul modo di fare ricerca (individuale o collaborativo) e sugli spazi utilizzati per svolgere le proprie attività nel periodo pre e durante la pandemia.

"L’attività di ricerca, complice il distanziamento fisico, diviene un’attività più individuale che collaborativa", spiegano dal Politecnico. La ricerca collaborativa passa dal 42% pre Covid-19 al 31% attuale. L’attività individuale cresce del 10%. L’allentarsi progressivo delle restrizioni svela differenze di genere: al termine della prima ondata la maggioranza delle donne ha continuato a fare ricerca da casa, gli uomini hanno ripreso a frequentare maggiormente l’università, ma anche laboratori e biblioteche. "Le donne sembrano essere penalizzate, in particolare, perché in era pre-Covid usavano spazi condivisi in numero maggiore rispetto agli uomini e ora, a causa delle necessità di distanziamento fisico, si trovano in maggiore difficoltà a rientrare nel proprio luogo di lavoro abituale", spiegano gli studiosi. Gli uomini sono tornati più di una volta a settimana nei loro uffici, prevalentemente singoli, mentre le donne, con uffici prevalentemente condivisi, lavorano da casa più dei colleghi maschi (4-5 volte a settimana). Indicazioni che possono essere utilizzate anche per ridisegnare gli spazi dedicati alla ricerca e i campus del futuro, perché "la ricerca collaborativa è fondamentale per fare progressi scientifici – sottolinea Donatella Sciuto, prorettrice del Politecnico - è sicuramente necessario trovare al più presto soluzioni che consentano di riprendere queste attività non solo con strumenti digitali ma anche in presenza. Non è pensabile infine che le donne scienziate e i giovani ricercatori escano ulteriormente penalizzati da questa situazione di emergenza".

Lo stesso trend si nota anche a Milano e in Lombardia. "Tra i 1,470 accademici lombardi coinvolti nell’indagine, più gli uomini che le donne sono tornati a fare ricerca dalle sedi universitarie – confermano i ricercatori –. Gli accademici afferenti ai settori delle scienze della vita, avendo necessità di laboratori e strumentazione specifica, hanno ripreso progressivamente ad utilizzare gli spazi di lavoro nei campus, mentre gli accademici dei settori delle scienze fisiche, ingegneria e scienze sociali e umanistiche hanno continuato a lavorare da casa pur con il progressivo allentamento delle politiche di distanziamento". Altra categoria penalizzata, anche in Lombardia, è rappresentata dai giovani ricercatori: "Prima della pandemia – ricordano dall’ateneo – utilizzavano gli spazi universitari più di professori ordinari e associati. Col Covid-working non è stata penalizzata solo la loro ricerca collaborativa ma anche l’accesso agli spazi dediti a tale collaborazione: quelli universitari. Che sembrerebbero preferibili anche perché in media ricercatori più giovani abitano in case più piccole: trilocali contro i quadrilocali e pentalocali dei colleghi senior".

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