"Rapirono loro Cristina Mazzotti" Dopo 48 anni, altri 4 sotto accusa

La Procura chiede il giudizio per il boss di ’ndrangheta Giuseppe Morabito e tre presunti complici. Nel ’75 sarebbero stati gli esecutori materiali del tragico sequestro. La svolta in un’impronta digitale

Un rapimento che fece epoca quello della 18enne Cristina Mazzotti, prima donna a essere rapita dall’Anonima sequestri al Nord. Era il lontano 1975 e quella ragazzina a casa non tornò più, anche se suo padre aveva pagato un riscatto. Ora a distanza di quasi mezzo secolo dal tragico epilogo di quella vicenda - e a molti anni dalle condanne di alcuni rapitori - la procura chiede il processo per altre quattro persone ritenute tra gli esecutori materiali del sequestro finito tragicamente.Tra loro il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, 78 anni e residente nel Varesotto.

Il nuovo filone di indagini, condotte dalla Squadra mobile e coordinate dal pm Stefano Civardi - anche a seguito dell’esposto dell’avvocato Fabio Repici, legale dela famiglia Mazzotti - era stato chiuso a novembre. Oltre a Morabito, ritenuto uno dei presunti "ideatori" del sequestro, sono imputati Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, pure loro vicini alla ‘ndrangheta.

I quattro, in concorso con 13 persone già condannate in passato, secondo la Procura "presero parte attiva e portarono a compimento la fase esecutiva del sequestro", che avvenne la sera del primo luglio ‘75 a Eupilio (Como) e che finì con la morte della ragazza, segregata in una "buca" a Castelletto Ticino (Novara) e a cui vennero somministrate dosi massicce "di tranquillanti".

Come hanno ricostruito i processi, al padre della ragazza, un ricco industriale milanese , prima furono chiesti 5 miliardi di lire di riscatto, poi un miliardo che l’uomo riuscì a raccogliere e consegnare in segreto in un appartamento di Appiano Gentile, ottenendo in cambio garanzie per il rilascio della figlia.

Ma il primo settembre ‘75, una telefonata anonima indicò ai carabinieri di scavare in una discarica di Galliate (Novara) dove fu trovato il cadavere. Cristina era stata sepolta in un fazzoletto di terra, sotto una carrozzina e una bambola rotta. L’autopsia accertò che si trovava lì da almeno 40 giorni ma nessuno riuscì a dire con certezza se era già morta o respirava ancora quando la gettarono lì.

Secondo la procura, Morabito avrebbe fornito anche un’auto che servì da “civetta“ per segnalare l’arrivo della Mini Minor (con cui stava rincasando la giovane) e per "fare da staffetta verso il luogo" della prigionia. La posizione di un quinto indagato, Antonio Romeo, va verso l’archiviazione. La svolta per la riapertura delle indagini nel 2007, quando grazie alla nuova banca dati un’impronta digitale fu attribuita a Demetrio Latella, che ammise di essere stato uno dei sequestratori e chiamò in causa altre due persone.

M.Cons.

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