Coronavirus, quelle strane polmoniti nel mese di gennaio

Indagine fra i medici di famiglia promossa dal dottor Irven Mussi: secondo i dati l’infezione è cominciata molto prima del 20 febbraio

Un medico

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Anche a Milano i medici di famiglia "già da gennaio avevano riscontrato numerosi casi, molto più frequenti degli altri anni, di polmoniti ‘strane’ a lenta e difficoltosa risoluzione, poco rispondenti alla terapia antibiotica. E quando erano state eseguite radiografie di controllo, si erano identificate come polmoniti interstiziali". È la segnalazione che emerge da un’indagine condotta su un gruppo di medici di famiglia del capoluogo lombardo e provincia, che l’Adnkronos Salute ha potuto visionare. A promuoverla un collega della metropoli, Irven Mussi, che sottolinea anche come ora il contagio da nuovo coronavirus potrebbe essere sempre di più un ‘affare di famiglia’, a giudicare da quanto emerge dall’osservatorio privilegiato dei camici bianchi di fiducia.

Raccogliendo le risposte dei colleghi nel corso dell’indagine, a colpire Mussi è stato in primo luogo il fatto che "numerosi avevano aggiunto ai dati richiesti un’osservazione" relativa al mese di gennaio. Parlavano appunto di strane polmoniti, riscontrate "ben prima dello scoppio ufficiale in Italia dell’epidemia". La descrizione è molto dettagliata e collima con le caratteristiche della Covid. "Ci ha molto stupito che numerosi colleghi, senza una nostra richiesta, abbiano ritenuto importante segnalare questa non prevista alta incidenza di polmoniti già da gennaio. Queste segnalazioni potrebbero far pensare che Covid-19 fosse già presente e diffuso ben prima del fatidico 20 febbraio e meritano indagini specifiche", suggerisce Mussi.

Quanto alla situazione oggi, "a nostro giudizio le nuove infezioni hanno sempre più un carattere intrafamiliare, anche per le gravi difficoltà all’isolamento dentro casa per molte persone. È indispensabileprevedere possibilità concrete alternative di quarantena sia per i dimessi ancora Covid positivi che per i nuovi infettati". Ma anche "l’identificazione precoce e l’isolamento dei contatti".

"È esperienza comune di tutti i medici di famiglia un’alta percentuale di paucisintomatici, (cioè con scarsità di sintomi, ndr) - ragiona Mussi -. Ed è inesplorato il numero dei casi asintomatici, i cosiddetti portatori sani, di cui nessuno è in grado di precisare il numero, ma che sono, anche da quanto risulta dall’esperienza cinese, molto importanti nella diffusione dell’infezione". Quanto ai medici di famiglia, "il gran numero di infettati ha avuto come conseguenza drammatica l’uscita dal sistema, già molto stressato, di numerosi medici. La progressiva riduzione di nuove infezioni (non di morti) fra i medici di medicina generale - puntualizza - non è sicuramente dovuta ai Dpi (dispositivi di protezione individuale) forniti, ma solo a un cambiamento di strategia dei medici stessi che stanno sempre più gestendo la situazione con dei triage telefonici". E il numero di malati Covid dallo studio è risultato molto più esteso rispetto ai numeri ufficiali. "Applicando le percentuali rilevate tra i medici (1,5% dei totali assistiti a Milano e 1,8% in provincia) "nella metropoli a marzo il contagio reale sarebbe non nell’ordine delle migliaia come rilevato dai dati ufficiali, ma di decine di migliaia". 30mila contro gli oltre 3mila dei dati ufficiali.

"La gestione territoriale ha ridotto l’impatto comunque devastante di questa epidemia sul sistema ospedaliero lombardo", rimarca Mussi che riporta il dato emerso dall’indagine condotta su un gruppo di colleghi della metropoli e della provincia. Secondo quanto rilevato, "una percentuale molto alta di casi Covid (88%) è stata gestita a domicilio". Rimane "il dolore per i tanti amici che ci hanno lasciato - dice il camice bianco - nel giorno in cui la lista delle vittime in camice ha raggiunto quota 100, e fra queste circa una su due era proprio medico di famiglia. E resta non chiarita la possibilità, per noi angosciante, di poter esser stati, proprio per la mancanza di Dpi, fonte di infezione per i nostri pazienti. Dopo più di un mese e mezzo dall’inizio documentato dell’epidemia dobbiamo registrare ancora la mancanza quantitativa-qualitativa di Dpi da parte delle istituzioni".

 

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