Quel vuoto in cui si annida la violenza

Roberto

Rasia dal Polo*

Le violenze perpetrate ai danni di giovani ragazze da branchi di maschi fra i 15 e i 20 anni arricchiti di testosterone nella notte di capodanno non fanno onore né alla città né al nostro Paese. Mi pare interessante ragionare su cosa noi possiamo fare affinché, non dico che queste cose non avvengano più, ma perlomeno riescano ad essere controllate o, nei propositi migliori, prevenute. Che il Comune di Milano si costituisca parte civile, da una parte è comprensibile per tutelare i cittadini oggetto di violenza e tutti noi, dall’altra fa rimanere attoniti, poiché proprio il Comune dovrebbe essere il primo soggetto a fare il mea culpa, in quanto come successe sui navigli alla riapertura l’anno scorso, anche il capodanno e Piazza Duomo con i suoi dintorni erano un obiettivo intorno al quale era facile prevedere assembramenti pericolosi.

Ma per non dare sempre la colpa gli altri, credo sia anche intellettualmente corretto che ognuno di noi, amando la propria città e i propri figli, si chieda che cosa possa fare per evitare che in futuro la violenza viva una escalation che in una città di solo 1 milione e mezzo di abitanti sarebbe oltremodo un pessimo biglietto da visita. Sono solo due le chiavi con cui possiamo agire: la famiglia e la scuola. Risulta che il tasso di abbandono scolastico fra i 14 e i 18 anni sia elevatissimo e questo è un pessimo segnale. Inoltre, molto spesso, anche se non sempre, alle spalle di questi ragazzi e del loro disagio ci sono grossi problemi familiari o addirittura il vuoto. È in quel vuoto che si annida il seme della violenza e c’è un unico modo attraverso il quale possiamo cercare di migliorare la situazione: il dialogo. Ma per dialogare con i ragazzi disagiati bisogna che noi parliamo la loro lingua e non pretendere che loro parlino la nostra. Chi non ha occasione di contatti può dare il buon esempio, in ogni momento della giornata. Chi, invece, ha occasione può innanzitutto ascoltare, non certo per dare loro ragione ma per capire profondamente le radici di quel disagio e provare a disegnare per quelle persone un futuro diverso. Criticare le violenze, scrollando le spalle e girandosi dall’altra parte significa essere complici. Partiamo da qui e, forse, se saremo veloci e fortunati, Milano si potrà distinguere sul piano internazionale anche nel settore della sicurezza. Come avviene in alcune città orientali famose per la loro vivibilità, come Singapore, Taipei e Seul.

* Giornalista e formatore

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