"Quei prigionieri di guerra che seppero fare la pace"

Chiusi in un campo in Pennsylvania, 1.250 reduci della battaglia di El Alamein si integrarono con la popolazione locale, creando un legame indissolubile

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di Barbara Calderola

Italia-Pennsylvania, dalla prigionia al legame indissolubile fra due comunità. Una storia di guerra e di dolore che è diventata simbolo di riscatto e libertà. Protagonisti 1.250 soldati catturati dopo la disfatta di El Alamein, l’inferno di sabbia e di fuoco che per 51mila uomini dell’armata regia finì nei campi di lavoro oltreoceano. Fra loro Luigi, padre dell’ex sindaco di Vimodrone, Antonio Brescianini, oggi a capo della delegazione di famiglie che custodiscono la memoria di quella vicenda. Un frammento del conflitto che "è diventato amicizia fra i nostri popoli. Siamo uniti da un filo che attraversa il tempo e che è non si è mai spezzato". Venerdì, Ampil, l’associazione dei parenti, volerà a Letterkenny, ospite della città, per celebrare i 77 anni della fondazione della chiesa da parte dei soldati diventati cooperanti dopo la battaglia d’Africa. "A mio padre, come a migliaia di altre persone, chiesero la firma di un accordo di collaborazione – racconta Brescianini –. Solo in 5mila rimasero fedeli al fascismo e vennero portati in altri campi dove, credo, le condizioni di vita non furono facili".

A Letterkenny, invece, Luigi e gli altri si trovarono bene. La cappella, "simbolo di speranza", fu costruita con materiali di risulta in arrivo dal campo, un enorme deposito di armi e munizioni, che esiste ancora oggi. Fra i cimeli che i Brescianini conservano "per non perdere il ricordo e il significato di quei giorni" ci sono la piastrina con il numero di matricola di Luigi, il sacco, e un diario con i pensieri dei compagni in italiano e in inglese servito ad Antonio per rimettere in fila questi due anni di vita del padre. Che si arruolò il 6 agosto 1941 e fu catturato in Tunisia dagli inglesi il 21 marzo 1943. Dopo la parentesi in America tornò in patria, a Napoli, il 21 ottobre 1945. Quindi a Bergamo, dove abitava, "papà aveva l’America nel cuore. Fino alla fine, nel 1988, ha detto che era un Paese democratico, rispettoso della dignità umana. Lo raccontava da prigioniero. Le stesse parole si ritrovano nel diario, scritte dai commilitoni".

Ad accogliere il gruppo italiano negli States, le istituzioni locali, Dave Sciamanna e il professor Alan Perry. "Un’emozione fortissima, aspettiamo questo momento da 7 anni – dice Antonio – nel 2020 il 75esimo è saltato per colpa del Covid, ora inaugureremo insieme una nuova mostra fotografica che suggella il nostro rapporto".

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