Alessandro Crisafulli, l'ex boss di Quarto Oggiaro: "Mi sentivo onnipotente, ero schiavo"

Condannato all’ergastolo, il 58enne ha cambiato vita. "Con mio fratello non parlo. Se tornassi indietro sarei professore"

Milano - "Chi si avvicina alla criminalità pensa di essere libero. Si sente onnipotente. Senza regole, senza limiti. In realtà è schiavo di regole non scritte, spesso deve sottostare al volere di altri e a poco a poco perde la sua vita. Io ho quasi 58 anni: cos’ho? Sono stato condannato all’ergastolo, non mi sono potuto creare una famiglia. Da poco ho trovato l’amore e sto facendo la gavetta, il cameriere, come un giovane". Alessandro Crisafulli, ex boss di Quarto Oggiaro che sta scontando la sua pena da 28 anni ("ora sono semilibero, da 3 anni nel carcere di Bollate"), oggi lancia un messaggio tutto diverso rispetto a quando spadroneggiava nel quartiere "sentendomi invincibile". Con il mondo della criminalità ha tagliato ogni legame. "Non ho più rapporti neppure con mio fratello Biagio (detenuto, ndr ). Non ci parliamo dal 2014". Il rapporto si è incrinato dopo che Alessandro ha scelto di cambiare strada. "Non come collaboratore di giustizia: non ho avuto nessuno sconto. Sono pentito di quello che ho commesso in passato. Sono un’altra persona".

Negli ultimi mesi a Milano hanno tenuto banco le aggressioni tra rapper, regolamenti di conti, rapine e anche sequestri di persona. Incursioni di folle di giovanissimi che bloccano le strade per girare video e terrorizzano le persone. Tutto poi postato sui social. Un altro mondo rispetto a quello che conosceva... "Esattamente. Parliamo di epoche diverse. Ai miei tempi, negli anni Ottanta, i social non c’erano e l’ascesa era “silenziosa“: si faceva conoscere il proprio valore con azioni criminali eclatanti ma l’obiettivo non era certo quello di sbandierarle al mondo. C’era l’esigenza di mostrarsi, ma a pochi. A chi “doveva sapere“. Agli altri bisognava nascondere il più possibile, perché il rischio era di essere arrestati. Alla base però c’è sempre il sentirsi emarginati e la voglia di emergere. Soprattutto chi vive in periferia e ha poche possibilità rispetto ad altri cerca il riscatto".

Si ricorda il suo primo reato? "Altroché. Avevo 7 anni. Rubavo soldi a una signora anziana che mi apriva la porta di casa sua tutti i pomeriggi per farmi guardare la televisione. Avevo scoperto dove teneva le banconote e ogni giorno facevo sparire un biglietto da mille lire. Quando mi scoprì, mi denunciò a mia madre. Mia madre era l’unica persona perbene della famiglia.Per il resto, eravamo tutti criminali. Mio padre un contrabbandiere. Mio fratello Francesco, ucciso nel 2009, è finito sulla cattiva strada da giovanissimo. Io, il più piccolo, ero il braccio destro di Biagio, il secondogenito (detto dentino, il boss, ndr ). Insieme abbiamo comandato lo spaccio di stupefacenti in quartiere. Penso che se fossi cresciuto in un ambiente diverso, oggi sarei un altro. In carcere ho preso il diploma, mi sono appassionato di calcio. Penso mi sarebbe piaciuto diventare un professore di filosofia".

È stato condannato all’ergastolo per due omicidi, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e altri reati. Cosa ricorda del primo omicidio? "Tutto. Avevo 25 anni quando sparai a Roberto Messina, il 16 dicembre 1989. Spacciava con il nostro benestare ma comprava la droga anche da altri. Quando andai a rimproverarlo mi trattò “come un ragazzino“. Mi pento ogni giorno di ciò che ho fatto. Dopo il fatto mi sentivo onnipotente".

Quando ha iniziato il percorso di rinascita? "Nel 2009 ho iniziato il percorso con il Gruppo della trasgressione, che ha creduto in me. La vera svolta è stata quando ho conosciuto Alima, la mia compagna, che da “libera“ ha messo piede in carcere per un tirocinio. Per me, che non posso spostarmi da Milano, sopporta anche il caldo d’agosto".

 

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