
di Roberta Rampini
"A marzo non c’è stato l’assalto ai pronto soccorso perché i pazienti avevano paura di venire, sentivano dire che c’era il rischio di contagiarsi. Preferivano stare a casa e telefonare al loro medico di base. Oggi la paura del contagio in ospedale non c’è più, sanno che sono state adottate tutte le misure di prevenzione. Ma c’è la paura del virus e così ai primi sintomi sospetti Covid vengono e per questo abbiamo i nostri pronto soccorso affollati". Ieri mattina al pronto soccorso di Garbagnate Milanese c’erano sessanta pazienti. In poche settimane gli accessi sono triplicati. Lo racconta Barbara Omazzi, medico dell’Asst Rhodense, responsabile del pronto soccorso di Garbagnate Milanese e Rho. A settembre è stata tra le 206 donne premiate da Fondazione Onda per il suo impegno nella gestione dell’epidemia Covid. In prima fila a marzo e ancora oggi, insieme ai colleghi medici e infermieri.
"Abbiamo riorganizzato l’attività e rinforzato i turni ma con grandi difficoltà perché facciamo fatica a trovare medici urgentisti, sono pochi quello che lo scelgono, il lavoro in pronto soccorso è faticoso, ci vuole pazienza, tempra e anche la capacità di gestire situazioni difficili da un punto di vista emotivo - racconta il medico rhodense - quando c’è stato il nuovo picco di contagi, nel mese di ottobre, avevamo sale d’attesa, ambulatori e corridoi affollati di pazienti, perché l’ospedale non era ancora organizzato per accogliere i malati Covid. Poi sono stati aperti quattro reparti e la situazione è migliorata. Non abbiamo mai lasciato indietro nessuno, abbiamo sempre lavorato per consentire alle ambulanze di scaricare i pazienti in tempi ragionevoli, ma non nasconde che sono settimane stancanti". Barbara, questo lavoro lo ha scelto, tanti anni fa: undici anni in pronto soccorso a Rho, vent’anni come dirigente e responsabile in altri reparti e nel 2019 è tornata al suo “primo amore“, ne ha viste tante di situazioni gravi, ma la cosa che la colpisce di questa emergenza sanitaria è la solitudine del paziente e in particolare di quelli anziani, "li vedi che sono spaventati, ti chiedono di avvisare i loro famigliari sulle condizioni di salute, qualcuno ha in mano il cellulare ma non lo sa usare e ti chiede aiuto, sono fragili in tutti i sensi, anche da un punto di vista emotivo, li devi ascoltare, ascoltare e tranquillizzare - conclude il medico - nonostante la fatica di questi mesi non mi sono mai pentita del lavoro che ho scelto e di essere tornata qui".