Prima della Scala: ragni, tatuaggi e pellicce verdi: quando è l'abito a dare spettacolo

C’è chi veste bene e chi veste alla Oscar Wilde, "purché se ne parli"

Daniela Santanché e Alessandro Sallusti alla 'prima' della Scala (Olycom)

Daniela Santanché e Alessandro Sallusti alla 'prima' della Scala (Olycom)

Milano, 7 dicembre 2016 - Alla Prima della Scala, da quando esiste, c’è chi veste bene e chi veste alla Oscar Wilde, «purché se ne parli». Ogni sette dicembre qualcuno rimpiange le velette di Wally Toscanini, sostituite, come certezza, da quelle autoprodotte che fasciano Valeria Marini. O le parure di sciure della nobiltà e dell’industrialità, davanti ai preziosi prestati in promozione alla stellina del momento, come su un qualsiasi red carpet californiano. E se mai, neanche sotto l’austerity più montiana, il foyer ha rinunciato a gioielli e pellicce (magari pudicamente schermiti come «di famiglia» o tolti dall’armadio «per prendere aria», in nome della proclamata «sobrietà»), non è mancato mai neppure l’abito che ha fatto parlare.

L’anno scorso Daniela Santanchè fu criticatissima su twitter, per un gonnone verde lucido indossato sotto camicia bianca, papillon e smanicato in pelliccia coordinati; meno squillante dal vivo che in foto, a dire la verità. Era più estrema Marina Ripa di Meana nel 2013, con un cappello a forma di ragno con ragni «anticrisi» infilati tipo porcospino; lo notarono in pochi perché arrivò in ritardo alla Traviata («causa tacchi»), e poi da lei, famosa per le scaligere proteste animaliste, s’era visto ben di più, quando nel ’98 s’aprì il cappotto mostrando il seno con su scritto «no furs». A copricapi, nel 2012, s’è distinta anche Tea Falco, non ancora presa in giro per la parlata che avrebbe sfoggiato nella serie su Mani pulite, 1992: all’epoca, fresca musa di Bertolucci, posava in bianco e piume come un Lohengrin, insieme a un miliardario 25 enne indonesiano aspirante stilista che le aveva piazzato in fronte un cleopatresco diadema a forma di uccello del paradiso.

Un’altra signora che non teme i fotografi è Sabina Negri, drammaturga, opinionista, ex moglie di Roberto Calderoli: nel 2011 si presentò con Alessandro Cecchi Paone e un vestito bianco da sposa con velo nero; nel 2015, in omaggio a Giovanna d’Arco, con le braccia nude coperte di tatuaggioni temporanei di crocefissi, mezzelune islamiche e stelle di David, a propagandare il dialogo interreligioso. Uno dei vestiti più sobriamente eleganti, quella sera, lo indossava la nota trans Efe Bal, entrata come pubblico pagante, destinata a dar spettacolo solo nell’azione: durante gli applausi si buttò a pesce nella buca dell’orchestra, rovinando su una tromba (danni permanenti allo strumento). Se la statistica non mente, anche stasera in foyer ci sarà pane per i massacratori di vip, tanto più che le ispirazioni, tra la nave di Pinkerton, le farfalle e i fior di ciliegio di Cho Cho-san, non mancano. E ci sarà chi sospirerà nell’angolo, rimpiangendo l’eleganza delle signore vestite dalla sarta Biki, che oltretutto era nipote acquisita di Puccini. 

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