La pillola anti Covid di Pfizer, Paxlovid, è arrivata in Lombardia

Pronta a essere somministrata appena sarà rilasciato il registro dell’Aifa Rasi (ex Ema): "Ma attenzione, non è per tutti. E non rimpiazza il vaccino"

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Milano - È arrivata anche negli ospedali hub lombardi la prima fornitura di Paxlovid, la pillola antivirale targata Pfizer, una delle cure più innovative destinate alla terapia precoce di persone che per le loro condizioni cliniche hanno un rischio più alto di sviluppare forme gravi di Covid 19: 2.276 confezioni del farmaco, pronto a essere somministrato - al momento solo negli ospedali, sotto il controllo degli specialisti - appena Aifa renderà disponibile il registro per il monitoraggio di questa terapia, che a quanto Il Giorno apprende era atteso a ore ieri pomeriggio.

La pillola di Pfizer , che funziona come inibitore della proteasi (l’enzima responsabile della produzione di proteine del Sars-CoV-2), se somministrata entro i primi tre, massimo cinque giorni dall’inizio dei sintomi ha dimostrato un’efficacia dell’89% nel frenare la progressione della malattia. Superiore, dunque, al 30% di riduzione di decessi e ricoveri associato a Molnupiravir, l’altra pillola sviluppata da MSD (l’azienda americana che per problemi di confusione del brand con l’omonima tedesca può essere chiamata “Merck“ solo negli Usa e in Canada), anch’essa antivirale ma che attacca su un fronte diverso il coronavirus, “ingannandone“ la Rna polimerasi (l’enzima che permette la replicazione del virus) con una scarica d’errori di copiatura.

Di trattamenti col Molnupiravir a persone non ricoverate in ospedale, in base all’ultimo report dell’Aifa sull’utilizzo degli antivirali innovativi contro la Covid in Italia, in Lombardia ne erano stati avviati al primo febbraio 283. Nella nostra regione, così come in Emilia Romagna e a percentuali invertite rispetto alla media nazionale, sui non ospedalizzati è più usato l’altro antivirale: il Remdesivir di Gilead, altro inibitore della Rna polimerasi sviluppato per combattere Ebola e la febbre di Marburg ma dimostratosi efficace contro Sars-CoV-2, tanto da essere autorizzato dall’Aifa alla fine dell’anno scorso, insieme al Molnupiravir, per trattare non ricoverati sempre con malattia lieve-moderata manifestatasi da pochi giorni e specifici fattori di rischio di progredire a grave. Al primo febbraio, in Lombadia, Remdesivir era stato somministrato a 12.508 malati negli ospedali (il 15,2% di tutti i ricoverati che l’hanno ricevuto in Italia dall’inizio del monitoraggio dell’Aifa) e ad altri 459 non ricoverati.

Sono farmaci che vengono acquistati dalla stuttura del commissario nazionale all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo, che li distribuisce ai servizi sanitari regionali in base alle indicazioni del Ministero della Salute e dell’Aifa. Come avviene per gli anticorpi monoclonali, la cui spendibilità tuttavia è stata molto ridotta dall’avanzata di Omicron, dato che l’unico che ha mantenuto un’efficacia alta contro la nuova variante è il Sotrovimab di Gsk (tra l’altro prodotto in Italia); ed era già limitata dal fatto che i monoclonali vengono somministrati con lunghe infusioni in ospedale, mentre Paxlovid e Molnupiravir (non Remdesivir, che si assume per via endovenosa per tre giorni consecutivi) sono pillole. Ma il vero vantaggio degli antivirali come Paxlovid, Molnupiravir e Remdesivir è l’essere rimasti efficaci con Omicron. Anche perché questi farmaci innovativi sono indicati solo per un certo tipo di pazienti e in una precisa finestra temporale: lo stesso Paxlovid, ha chiarito Guido Rasi, ex direttore generale dell’Ema oggi consulente del commissario Figliuolo, "non è un farmaco facilissimo da usare, anche se si assume per via orale. Va usato all’inizio della malattia e in situazione particolari". E non può sostiture la vaccinazione dal Sars–CoV–2, che sinora si è dimostrata sul campo l’arma più efficace per prevenire la Covid grave: "La pillola è una buona arma aggiuntiva, ma non è per tutti, ha effetti collaterali".