Imbrattata, rotta e rimessa: Pinelli, la storia in una lapide

A 51 anni dalla strage di piazza Fontana e dal volo dell’anarchico in questura la vicenda del pezzo di marmo difeso e contestato da una città spaccata

La lapide

La lapide

Milano, 12 dicembre 2020 - Imbrattata, distrutta, rimossa e ricollocata. Mezzo secolo di storia in un pezzo di marmo. Ma è la lapide sistemata dagli anarchici nel giardinetto di piazza Fontana per Giuseppe Pinelli, il ferroviere precipitato da una finestra della Questura il 15 dicembre ’69, 18esima vittima della bomba messa da neofascisti tre giorni prima nella Banca nazionale dell’Agricoltura. Da quando venne posta dov’è, più di 40 anni fa, ne ha viste di tutti i colori, sempre difesa dallo storico circolo Ponte della Ghisolfa, che in occasione dell’ennesimo anniversario della morte di Pinelli - quast’anno sono 51 - ne ha raccontato le alterne vicende in un opuscolo pubblicato insieme all’Osservatorio democratico sulle nuove destre. Posizionata lì una sera di dicembre del ’77 (presente l’anziana mamma di Pinelli) per iniziativa del collettivo unitario antifascista, del movimento lavoratori perr il socialismo, di gruppi di studenti ed ex partigiani, il testo era (ed è) un ricordo di Pino «ucciso innocente nei locali della questura di Milano». E proprio la parola «ucciso» (verità indubitabile per gli anarchici) avrebbe garantito alla lapide vicissitudini varie, dato che per la giustizia italiana quella del ferroviere 41enne, che lasciò moglie e due figlie piccole, fu una morte accidentale provocata da un malore. La destra milanese tentò più volte di far rimuovere la lapide, che all’inizio degli anni ’80 venne distrutta a martellate dai soliti ignoti ma pochi giorni dopo sostituita.

Nel novembre ’87 il sindaco socialista Paolo Pillitteri voleva spedirla al Museo di storia contemporanea di via Sant’Andrea. Due anni più tardi un sindacato di polizia provò a sostituirla con una in ricordo del commissario di polizia Luigi Calabresi, ucciso da Lotta Continua. In entrambe le occasioni la lapide rimase dov’era, difesa dalla sinistra e da personaggi come Dario Fo, Fabrizio De André, Camilla Cederna, anche Gianna Nannini. Durante un presidio arrivò nella piazza Pietro Valpreda, il ballerino anarchico arrestato (e poi assolto) per la bomba di Piazza Fontana. La stele per Calabresi alla fine trovò posto sui muri della caserma in piazza Sant’Ambrogio. Ma una notte di marzo 2006 una squadra di operai mandati dell’allora sindaco Gabriele Albertini la rimosse davvero, sostituendola con una dedicata a Pinelli «innocente morto tragicamente nei locali della questura». Ne seguì una specie di rivolta popolare. La vedova Licia espresse «indignazione», Dario Fo parlò di «atto vergognoso», in consiglio comunale si sfiorò la rissa tra parti avverse. Una settimana dopo, gli anarchici rimisero la loro lapide al suo posto, a fianco di quella del Comune. E da allora, due sono rimaste.  

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