Parti cesarei, il minimo non scende sotto il 20%

Il record nelle Ats della Val Padana, della Montagna e di Brescia. L’Oms chiede di rientrare tra il 10 e il 15%

Gravidanza

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In calo la proporzione di parti con taglio cesareo sul totale, lontana dai picchi del 40% registrati anni fa, ma le percentuali osservate nell’ultimo periodo restano ancora al di sopra della soglia del 10-15%. Questa sarebbe la percentuale, secondo quanto indicato dall’Oms nel 1995, che garantirebbe il massimo beneficio complessivo per la madre e per il bambino, considerando rischi e benefici connessi alle diverse modalità di parto.

Anche in Lombardia, come nel resto del Paese, considerando il numero di parti totali e il numero dei tagli cesarei nelle diverse Ats (senza fare distinzioni tra le strutture in base al numero di parti seguiti), l’analisi sommaria dice che non si è ancora centrato l’obiettivo dato dall’Oms. Le percentuali più basse (21% di cesarei sul totale di parti) si hanno in Ats Insubria e Ats Brianza, mentre tra quelle più alte spicca il 26% degli ospedali afferenti ad Ats Brescia e Ats della montagna, ed il 27% di Ats della val Padana. Il Pne rileva anche la presenza di strutture con meno di 500 parti all’anno su tutto il territorio nazionale, nonostante sia stata prevista la chiusura già con l’Accordo Stato-Regioni del 2010 (nella maggior parte dei casi sono interessate da un elevato ricorso al parto chirurgico). In Lombardia se ne contano ancora 6, a cui si aggiungono 13 sotto i 1.000 parti all’anno, valore che rappresenta il parametro standard dei 1.000 parti indicato dal Decreto Ministeriale 702015. Lo stesso decreto ha fissato la quota massima di tagli cesarei primari al 25% per le maternità con più di 1.000 parti annui e al 15% per quelle con volumi inferiori.

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