Ospedali di Milano sotto stress: gli ultimi contraccolpi dell’ondata influenzale

Il caso al Sacco dopo un decesso. La replica: sempre garantita assistenza al paziente Allarme infezioni respiratorie, picco superato dal Policlinico a Niguarda

Reparto infettivi dell'ospedale Sacco

Reparto infettivi dell'ospedale Sacco

Milano - Alla denuncia di Luca Paladini, attivista Lgbt+ e candidato consigliere regionale nella lista civica di Pierfrancesco Majorino, che ha raccontato sui social come suo padre, morto all’ospedale Sacco di Milano, abbia rischiato di andarsene "in modo non dignitoso dopo essere stato lasciato per 26 ore su una barella del pronto soccorso", ha risposto ieri l’Asst Fatebenefratelli-Sacco. Ricostruendo anche in una relazione alla Regione quelle 26 ore, dalla "tarda mattinata" del 10 gennaio quando il paziente è arrivato in pronto soccorso "ed è stato preso in carico dai medici dopo pochi minuti. Nelle prime ore è stato sottoposto a una serie di accertamenti" per determinare "il quadro clinico ", poi "a una adeguata terapia e posto in osservazione fino al tardo pomeriggio. Lo stato di salute del paziente, afflitto da una serie di patologie, ha portato i medici del Ps a effettuare un’attenta valutazione con altri specialisti (chirurgo, radiologo, radiologo interventista), escludendo la possibilità" di un intervento.

"Hanno quindi disposto il ricovero nel reparto di Malattie infettive, che ha avuto luogo il pomeriggio dell’11 gennaio", spiegano dal Sacco, ma insistono che durante la "permanenza in pronto soccorso il padre del signor Paladini è stato sottoposto a numerose valutazioni cliniche e terapeutiche, costantemente monitorato e assistito dal personale infermieristico". La relazione interna dettaglia orari di esami e visite, anche nella tarda serata del 10 e la mattina dopo: quelle ore di “buio” nelle quali il figlio spiega d’aver tempestato di telefonate l’ospedale, fino a ripresentarsi in pronto soccorso l’indomani; il Sacco assicura che sia stato "informato più volte telefonicamente e di persona". Il contesto di questa vicenda sono i reparti d’emergenza, storicamente sotto pressione in questa stagione, dove la Regione ha introdotto incentivi per frenare la “fuga” del personale stremato da tre anni di pandemia e dall’anticipo dell’influenza che li ha trasformati in trincee sin dall’autunno.

E però, sull’ultimo fronte, una ricognizione dei pronto soccorso della metropoli - quelli in cui è più frequente che il "boarding", l’attesa del ricovero, s’allunghi perché nei reparti molti letti restano occupati da anziani soli al mondo che non possono essere mandati a casa senza assistenza - fa sperare che il picco sia passato. Al pronto soccorso del Policlinico di Milano alle 15.20 di ieri c’erano 13 pazienti in attesa (in codice verde tranne due in bianco) e altri 49 in cura, la metà di una certa gravità (5 codici rossi e 18 gialli); al Ps pediatrico 13 bimbi di cui solo tre in attesa. Numeri che sono la metà, per gli adulti, e una frazione per i bambini, rispetto a quelli registrati (e trainati molto più dall’influenza che dal Covid) per tutto novembre e fino a poco prima di Natale, quando è iniziata la discesa.

Lo stesso è accaduto al Niguarda, che da alcuni anni ha un sistema informatico di "visual hospital" con infermieri dedicati a velocizzare il reperimento dei letti in cui ricoverare dal Ps, ma che fino a un mese fa aveva il triplo di accessi quotidiani al pronto soccorso pediatrico (150 contro 50 oggi), e una cinquantina di adulti in più rispetto ai 250 che gestisce in questo periodo. L’influenza anticipata ha continuato a dare filo da torcere anche all’inizio dell’anno al San Paolo e al San Carlo, con patologie respiratorie impegnative che hanno allungato le degenze sia per anziani e fragili, che per i bambini; ma anche questi Ps, lo scorso weekend, registravano una cinquantina d’ingressi meno del precedente.

 

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