Una tangente per lavorare: operai pagavano il pizzo per assunzione e rinnovo contratti

Sarà processato per estorsione il “direttore del personale” di un’azienda. Avrebbe preteso soldi dai dipendenti della sua impresa di pulizie nella Bergamasca

Aula di un tribunale

Aula di un tribunale

Milano - Nel mondo alla rovescia gli operai devono pagare una “tangente“ per poter lavorare. Così succedeva, secondo la Procura, alla Mpm spa con sede nella Bergamasca, impresa di pulizie industriali alimentari. Al centro dell’inchiesta giudiziaria c’è A.C., dipendente della società "con mansioni di fatto di gestione del personale". Stando alle denunce di tre lavoratori, tutti di origini bengalesi, C. pretendeva denaro, fino a 2 mila euro, da chi ambiva a lavorare per la cooperativa. Soldi in cambio di assunzione, dunque. Ma non solo. Il “manager“ avrebbe preteso altro denaro dai dipendenti anche dopo averli fatti assumere. In tre hanno denunciato di aver dovuto pagare la “tangente“ anche per vedersi rinnovare il contratto a termine in prossimità della scadenza o per evitare di essere licenziati. Ora C., 53enne residente nell’hinterland milanese, è stato mandato a giudizio e dovrà difendersi dall’accusa pesante di estorsione nei confronti dei tre addetti.

La vergogna dei ricatti alla Mpm di Brignano Gera d’Adda, Bergamo, è messa nero su bianco nelle denunce presentate nei mesi socrsi dai lavoratori assistiti dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Traini. Uno degli operai, dopo aver conosciuto C. casualmente in treno, racconta che in un bar nei pressi della stazione di Pioltello quello gli propose di farlo assumere alla Mpm spa se gli avesse consegnato 2 mila euro per il disturbo. "Costretto dalla necessità ho acconsentito a pagare al signor C. la somma pretesa", ha ammesso l’uomo.

E in seguito, per non perdere il lavoro (in attesa di un contratto finalmente a tempo indeterminato) , l’operaio dice di aver versato a C. altri soldi "a volte € 500, 200 o 300". Il “direttore del personale“ "chiamava la richiesta di denaro “prestito“", ha aggiunto esibendo i messaggi whatsapp con cui il taglieggiatore sollecitava il versamento delle “rate“. Tra le condotte estorsive imputate dalla pm Maria Cristina Ria a C., rinviato a giudizio dal gup Domenico Santoro, c’è per l’appunto quella che "profittando delle condizioni di squilibrio del mercato del lavoro, con la minaccia di non assumerla (...) costringeva la persona offesa a consegnargli la somma di € 1.000". Ma anche, poi, che "sotto la reiterata minaccia di non fargli ottenere il rinnovo del relativo contratto, la costringeva a consegnare in sette occasioni diverse somme di denaro di importo variabile tra € 100 e 200".

In un altro caso il denaro preteso per un’assunzione era stato di 2 mila euro e poi "a seguito di una prima interruzione del rapporto di lavoro, sotto la minaccia di non riassumerla costringeva la persona offesa a consegnare la somma di € 700". "Preciso che i soldi venivano consegnati in contanti sempre al medesimo bar vicino alla stazione di Pioltello alla fine del mio turno di lavoro tra le ore 14 e le 15", ha messo a verbale l’operaio.

Ad un altro dipendente, C. avrebbe dato appuntamento la mattina presto, alle sei. "Durante la mia permanenza nella cooperativa ho avuto più di otto contratti interinali della durata di alcuni giorni", ha raccontato. "L’ultimo contratto è durato sette mesi e durante questo periodo ogni mese il signor A.C. pretendeva il pagamento di varie somme (...) Il 19 maggio 2019 è stata l’ultima volta che gli ho consegnato una somma di denaro, precisamente € 190 (...) Ho prelevato il denaro al bancomat, l’ho messo all’interno dell’astuccio di copertura del cellulare e quando ho raggiunto il signor A.C. gli ho mostrato e consegnato le banconote".

 

 

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