Omicidi Quarto Oggiaro, ergastolo per il killer dei Tatone

Decisione della Cassazione per Antonino Benfante. Tabulati e mozziconi, ricorsi respinti

Antonino Benfante

Antonino Benfante

Milano, 25 aprile 2018 - È stato Antonino Benfante detto «Palermo» ad ammazzare i fratelli Emanuele e Pasquale Tatone cinque anni fa. Il movente: eliminarli dal giro dello spaccio di droga per conquistare l’egemonia sulla piazza di Quarto Oggiaro. La condanna all’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni, è stata resa definitiva dalla Corte di Cassazione, che ha confermato il verdetto emesso il 26 ottobre 2016 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Nelle motivazioni, pubblicate ieri, i giudici hanno respinto punto per punto i motivi di ricorso presentati dall’avvocato Ermanno Gorpia, legale del 54enne di origini siciliane arrestato dagli uomini della Sezione Omicidi della Squadra mobile il 1° dicembre 2013, a poco più di un mese dal duplice agguato con tre morti sull’asfalto.

Ecco il racconto dei quattro giorni che terrorizzarono la città, cristallizzato nella sentenza degli ermellini. Alle 14 del 27 ottobre, V.M. segnala alla polizia di aver rinvenuto un cadavere nei pressi degli orti di Vialba, al confine tra Milano e Novate Milanese, di fianco a un’Opel Astra: è il corpo di Paolo Simone, fido autista e factotum di Emanuele Tatone; che a sua volta verrà ritrovato assassinato a una decina di metri di distanza nella boscaglia. I primi accertamenti non lasciano dubbi: è stata un’esecuzione, entrambi sono stati uccisi con due proiettili calibro 38. Passano 72 ore e si spara ancora, stavolta in tarda serata in via Pascarella, stessa zona: a cadere, alle 22.39, è Pasquale Tatone, fratello di Emanuele, freddato mentre si trovava all’interno della sua auto con un fucile calibro 12 da un killer poi fuggito in scooter. Le indagini si concentrano subito su Benfante, appena uscito dal carcere e in affidamento in prova ai servizi sociali: la prima perquisizione dà esito negativo, ma pian piano gli investigatori riescono a stringere il cerchio attorno al sospettato numero uno. Immagini delle telecamere, tabulati telefonici e testimonianze lo incastrano, collocandolo, secondo i segugi della Omicidi, sui luoghi del delitto. Una ricostruzione contestata dalla difesa, che già in Appello chiede un’integrazione di istruttoria su un punto in particolare, tra gli altri: l’acquisizione della testimonianza di G.G., l’uomo con cui Benfante ebbe cinque contatti via cellulare la mattina del 27 ottobre, l’ultimo dei quali, alle 11.34, a ridosso dell’ora del primo delitto, fissata approssimativamente tra le 11.30 e le 12 («intorno alle 11.45» per il primo giudice, «attorno alle 11.35» per il secondo). 

La tesi: Benfante era con un’altra persona (residente in una stradina molto vicina agli orti di Vialba) nel momento del duplice omicidio, quindi non può essere lui l’assassino. Per la Cassazione, invece, dal momento che i due vivevano nello stesso quartiere e quindi «per fissare un appuntamento sarebbe stato sufficiente un solo contatto telefonico», «dal numero e dalla frequenza dei contatti tra l’imputato e G.G,. non si può ritenere provata l’intenzione dei due di incontrarsi e quindi non vi è un accertamento che possa essere ritenuto incompatibile con l’affermazione di penale responsabilità». E poi c’è quel mozzicone di Marlboro rossa ritrovato agli orti di Vialba: non c’è il Dna di «Palermo» sulla ciccia repertata dalla Scientifica, il che potrebbe voler dire, per i suoi avvocati, che quella «bionda» fu offerta da Tatone (che addosso aveva proprio un pacchetto della stessa marca) alla persona che poi lo ferì a morte. Un assunto fondato «su una circostanza non dimostrata, e nemmeno probabile – argomenta la Cassazione – dato che si discute di sigarette diffuse in commercio e considerato che il mozzicone è stato rinvenuto in luogo pubblico». Tradotto: argomentazione respinte in toto al mittente. Ergastolo definitivo.

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