L’omicidio di Salvaggio a Buccinasco: un 'messaggio' a qualcuno

Il 60enne pluripregiudicato era malato terminale, sarebbe morto sicuramente poco tempo dopo. Perché sparargli in faccia?

I rilievi dei militari sul luogo del delitto Salvaggio

I rilievi dei militari sul luogo del delitto Salvaggio

Trovate questo articolo all'interno della newsletter "Buongiorno Milano". Ogni giorno alle ore 7, dal lunedì al venerdì, gli iscritti alla community del «Giorno» riceveranno una newsletter dedicata alla città di Milano. Per la prima volta i lettori potranno scegliere un prodotto completo, che offre un’informazione dettagliata, arricchita da tanti contenuti personalizzati: oltre alle notizie locali, una guida sempre aggiornata per vivere in maniera nuova la propria città, consigli di lettura e molto altro. www.ilgiorno.it/buongiornomilano 

Milano - Sono passati quattro mesi dalla mattina dell’11 ottobre quando Paolo Salvaggio, 60 anni, molti dei quali passati dentro e fuori dal carcere, pluripregiudicato, legami forti con la criminalità organizzata, è stato ucciso con quattro colpi di pistola, l’ultimo dei quali sparato in faccia, quando era già a terra.

In questi mesi la Dda di Milano non ha mai smesso di lavorare su quell’omicidio che, secondo gli investigatori, contiene per le modalità di esecuzione, un "messaggio" diretto a qualcuno. Salvaggio era gravemente malato di tumore ai polmoni, era terminale, sarebbe morto sicuro e anche nel giro di poco tempo, lo sapevano tutti, perché quindi ucciderlo? E in quel modo plateale, con tanto di quarto ultimo colpo diretto al viso, come ultimo sfregio, quando lui era a terra, probabilmente già morto, ucciso o comunque ferito gravemente dagli altri tre colpi? Al di là di chi avrebbe dovuto controllare la piazza della droga, Salvaggio comunque era ormai un "pesce piccolo" a chi era diretto veramente il messaggio? A chi stavano parlando i sicari?

Erano le 9 del mattino e Salvaggio era in bicicletta in una strada piuttosto trafficata quando le due persone, a bordo di uno scooter Honda, lo hanno affiancato. L’esecuzione e poi la fuga. La vittima. Lo chiamavano tutti “Dum Dum” da quando, nemmeno diciottenne, aveva ucciso, la notte del 31 dicembre del 1978, il buttafuori di una discoteca di Bereguardo, nel Pavese. Con lui aveva inziato a litigare semplicemente perché non voleva pagare il conto di una bevuta. Così estrae la pistola che aveva in tasca e gli spara, poi fugge per quindici giorni, lo riconoscono due poliziotti in viale Fulvio Testi, al confine con Sesto San Giovanni, si era tinto i capelli di rosso.

Quello era stato il suo esordio nel mondo della criminalità poi, uscito dal carcere, il baby killer aveva consumato rapine e furti, ma non solo. Salvaggio aveva stretto legami con i montenegrini, era stato legato anche ad alcuni esponenti della Sacra corona unita e della 'ndrangheta, fu indagato insieme ad alcuni membri della cosca Papalia. Droga, questo il suo business, ma non fu mai un boss, sempre un mediatore, una figura minore, fino al 2018 quando uscì dal carcere perché ormai molto malato.  

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro