Uccisa dal marito con 29 coltellate, graziato dal giudice chiede nuovo 'sconto'

La sentenza: "Niente crudeltà, colpita non in punti vitali". A lui non basta

La foto-ricordo postata dalla figlia della vittima

La foto-ricordo postata dalla figlia della vittima

Milano, 22 aprile 2018 - Confessando il delitto, Luigi Messina «ha apportato un grande contributo alle indagini». Per questo l’uomo che il 15 gennaio 2017 massacrò la moglie Rosanna Belvisi con 29 coltellate, nell’appartamento in via Coronelli dove viveva la coppia, potrebbe ottenere un ulteriore sconto di pena. I suoi difensori, gli avvocati Daniele Barelli e Alessandra Silvestri, hanno presentato ricorso in appello, chiedendo ai giudici di riconoscere le attenuanti generiche nel processo di secondo grado. L’udienza davanti alla Corte d’assise d’appello è stata fissata per il prossimo 6 giugno. Messina in primo grado era stato condannato a 18 anni di carcere. Una pena relativamente bassa, dovuta allo sconto di un terzo previsto per il rito abbreviato e alla decisione del gup Livio Cristofano di escludere l’aggravante della crudeltà. 

Nonostante avesse colpito la moglie 29 volte, secondo il giudice «l’azione omicidiaria non trasmoda, in modo evidente e pacifico, in una chiara manifestazione di efferatezza d’animo». E la «consecuzione ossessiva dei colpi», si legge nelle motivazioni della sentenza, è l’effetto di «un raptus e di una deflagrazione emotiva incontrollabile, piuttosto che la realizzazione di un deliberato intento di arrecare sofferenze aggiuntive alla propria consorte», proprio perché i fendenti raggiunsero solo punti vitali. Quindi, conclude il gup basandosi sulla relazione del medico legale che eseguì l’autopsia, «nessun colpo veniva diretto verso regioni del corpo che potessero arrecare solamente dolore, sofferenza o scempio del corpo, e non essere finalisticamente rivolto a cagionare la morte della vittima». Un’argomentazione accolta con rabbia dalla figlia di Luigi Messina e Rosanna Belvisi, Valentina, che ora teme un’ulteriore riduzione della pena inflitta al padre. L’uomo, tra qualche anno, potrebbe tornare in libertà. Intanto resta detenuto nel carcere di Vigevano, in attesa del processo d’appello.

Alla base del ricorso presentato dai difensori proprio il suo atteggiamento «collaborativo» dopo l’omicidio. In un primo momento aveva raccontato agli agenti della Squadra mobile di aver trovato la moglie morta in casa. Poi, messo alle strette, aveva confessato, consentendo di recuperare l’arma del delitto e gli abiti sporchi di sangue. Investigatori e inquirenti, così, avevano chiuso il cerchio nell’arco di poche ore. Un fatto di sangue che si inserisce in un quadro di rapporti burrascosi tra i coniugi, e di maltrattamenti subiti dalla donna, già accoltellata alla schiena nel 1995. Botte e insulti spesso sotto gli occhi della figlia. Luigi Messina e la moglie erano appena tornati da una vacanza a Pantelleria. La mattina del 15 gennaio 2017 la coppia aveva fatto colazione nell’appartamento alla periferia di Milano. Una tranquillità interrotta da una violenta lite, l’ennesima, sfociata nell’omicidio. Luigi Messina, ex guardia giurata di 55 anni, aveva afferrato un coltello, colpendo la donna con 29 fendenti. Poi era uscito di casa, era andato in pasticceria a comprare i babà e aveva giocato alle slot machine, vincendo 70 euro. Gesti che forse servivano per crearsi un alibi, per corroborare la versione di un’aggressione subita dalla moglie in sua assenza che non ha retto di fronte all’interrogatorio. 

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