Omicidio Redaelli, tutto da rifare Ricostruzione e verdetto “illogici“

La Corte di Cassazione, su richiesta anche della Procura generale: nel processo bis da riconsiderare le prove ritrovate sulla scena del crimine e il dna dell’imputato Mario Zaffarana condannato a 21 anni

Migration

di Stefania Totaro

Da rifare il processo a Mario Zaffarana, 60enne condannato a 21 anni di reclusione anche in appello per la morte del vicino di casa Michelangelo Redaelli, disoccupato pregiudicato di 54 anni di Solaro trovato sgozzato nel box della sua abitazione il 23 dicembre 2017. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, che ha annullato con rinvio ad un’altra sezione della Corte di Assise di Appello di Milano il procedimento giudiziario.

A chiederlo era stata anche la Procura generale all’udienza del ricorso presentato dagli avvocati di Zaffarana, Luca Valaguzza e Marco Turconi, che ritengono “illogici“ la ricostruzione accusatoria e di conseguenza il verdetto di colpevolezza. Da riconsiderare al processo di appello bis dovranno essere soprattutto i profili di prova ritrovati sulla scena del delitto e relativi al dna dell’imputato, ancora detenuto in carcere, che si è sempre protestato innocente.

I carabinieri avevano trovato un profilo di dna compatibile con quello del muratore nella zona dove si trovava il garage della vittima, ma quel corsello dei box era frequentato da tutti gli inquilini del condominio compreso Mario Zaffarana.

E un’altra traccia biologica che può essere associata all’imputato sul giubbetto di Michelangelo Redaelli, che il 54enne aveva ancora addosso quando è stato trovato morto, con la manica sinistra fuori dal braccio, ma che, è emerso al processo, gli inquirenti avevano spostato e messo a terra per permettere al medico legale di procedere con l’ispezione del cadavere e poi custodito come prova indiziaria. E questa circostanza aveva causato un duro scontro tra accusa e difesa.

Zaffarana è imputato di omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione e dei motivi futili e abietti. Per lui il pm della Procura di Monza Carlo Cinque aveva chiesto la condanna all’ergastolo, ascrivendo il movente del delitto a vecchi e incancreniti dissidi condominiali. Contro Zaffarana l’indizio che lui avrebbe raccontato alle amiche, che aveva incontrato in ritardo per andare a firmare il rogito della nuova casa, di un cadavere trovato nel suo condominio la sera del 22 dicembre, mentre il ritrovamento risale al giorno dopo.

Per la difesa, invece, le amiche si sono confuse sulla data riferita dal muratore. La Corte di Assise di Monza ha inflitto la pena di 21 anni escludendo la premeditazione.

In appello, la Corte ha confermato la pena, escludendo l’aggravante dei futili motivi ma togliendo all’imputato le attenuanti generiche. "I due condomini scesero separatamente nei garage, ciascuno per adempiere ad incombenze proprie: l’imputato a portare pacchi del trasloco, la vittima, forse, per lustrare l’adorata vettura come sempre faceva, ignorando la reciproca presenza fino al fatale incontro nel corsello condominiale", la ricostruzione della Corte di Assise di Appello di Milano.

"Una parola sbagliata, un gesto compiuto o equivocato, l’insorgere di un litigio a cui la vittima si sarebbe volentieri sottratto, per temperamento e assenza di prestanza fisica, ed ecco l’esplodere l’ira dell’altro, abituato a portare coltelli con sè in ogni circostanza anche la meno adatta, basti dire che all’arresto indosso e sul furgone gliene hanno sequestrati sei, non propriamente un corredo di necessità", hanno sottolineayo i giudici.

"Non è vero che dicevo che, prima di cambiare casa, gliela avrei fatta pagare", ha sempre detto l’imputato, che si proclama vittima di un errore giudiziario a causa degli unici indizi trovati dagli inquirenti.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro