Commerciante ucciso ad Affori, la figlia: "Sono innocente e perseguitata"

Simona Pozzi, secondo il pm mandante dell'omicidio del padre, ribatte alle accuse

Il negozio di Maurizio Pozzi, il commerciante ucciso (Newpress)

Il negozio di Maurizio Pozzi, il commerciante ucciso (Newpress)

Milano, 31 agosto 2018 -

Simona Pozzi, lei per i pm è l’assassina di suo padre (la mandante) e per i giudici del Riesame dovrebbe già essere in carcere... «(Sorride) Io non sono la mandante, né l’assassina, perché non c’è mai stato un omicidio. Mio padre (Maurizio Pozzi morto con 8 fratture alla testa il 5 febbraio del 2016) è morto a causa di un malore. E io sono innocente e perseguitata. La mia vita è finita quel giorno».

Che prove ha per sostenere l’ipotesi dell’incidente/malore? «Dai primi soccorritori mio padre è stato trovato seduto, con ancora gli occhiali a posto, non c’era nessuna macchia di sangue. Ansimava, come per un infarto. La Scientifica sostiene che il sangue fosse dietro la testa, ma quelle fratture potevano anche essere dovute alla semplice caduta dopo il malore. Tutte supposizioni». 

Per i giudici l’assassino aveva le chiavi di casa... «Anche qui sbagliano, la porta non era chiusa a chiave era solo chiusa. Mio padre è entrato a casa e ha semplicemente chiuso la porta alle sue spalle come ogni sera da 50 anni, è andato in camera e si è sentito male». 

Quindi secondo lei intanto c’è un grosso equivoco di fondo nelle indagini? «C’è solo una serie di deduzioni logiche fattE da loro, senza uno straccio di prova. Io non voglio andare in carcere per delle loro ipotesi».

I debiti per 800mila euro e la casa che andava all’asta? «I debiti erano di 400mila euro ed erano i normali debiti che fa chiunque ha una attività, avevo fatto acquisti per quella cifra altrimenti come lo rifornivo il negozio? Ma è tutto normale, c’è stato un momento di crisi, capita, poi li avrei pagati. La casa dei miei genitori non andava all’asta, anche questo è falso, io e il mio ex marito ci eravamo già accordati per pagare il debito a rate». 

E le parole del boss Pasquale Tallarico che la incriminano? «Ah certo, la storia è piena di pentiti che raccontano palle per avere sconti di pena». 

Perché Tallarico avrebbe dovuto tirare in ballo proprio lei?  «Un’occasione ghiotta, lui è amico di una mia conoscente che fa la pedicure e ha come clienti questo giro di persone a Bruzzano, lei era informata della morte di mio padre. Sono in molti ad avermi girato le spalle per convenienza dopo la disgrazia».

Vuole dire qualcosa agli investigatori e ai giudici? «Non avete le prove. Non avete in mano niente. Mi sento come Enzo Tortora, perseguitata sul nulla».

Ci pensa ogni tanto a suo padre? «Gli parlo tutte le sere, gli chiedo la forza di andare avanti, lui che mi chiamava la sua “baciccia”. Prego, non credo nella giustizia dei giudici, credo in quella di Dio. Prego per mia figlia che ha 15 anni, mi fa tante domande e vorrei che non vivesse questo incubo. (piange), e ripenso spesso a quando mio padre mi ha portato all’altare e ha stretto la mano al mio futuro marito: ti consegno la mia bambina. Ecco questo era mio padre».

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