L'omicidio della piccola Matilda, 13 anni senza giustizia

Indagini e processi non sono stati in grado di stabilire chi delle due persone, le sole, che erano con lei sferrò quel devastante colpo alla schiena

La piccola Matilda Borin (Ansa)

La piccola Matilda Borin (Ansa)

Milano, 15 novembre 2018 -  Una vicenda terribile, unica al punto da risultare paradossale. Oltre tredici anni di indagini e processi con sono stati in grado di stabilire chi delle due persone, le sole, che erano con lei sferrò quel devastante colpo alla schiena. Fu forse un calcio e troncò il viaggio nella vita di Matilda Borin, durato soltanto 22 mesi.

Era il pomeriggio del 2 luglio del 2005 in una casa colonica di Roasio, nelle campagne del Vercellese. Per la legge non fu la madre Elena Romani, oggi 44 anni, di Legnano, che aveva avuto Matilda dall’unione con Simone Borin, di Busto Arsizio. È stata assolta nei tre gradi di giudizio. L’uomo che le era accanto era il fidanzato Antonio Cangialosi, ex bodyguard, poi dipendente di una ditta di trasporti. Già prosciolto due volte, nel dicembre del 2016, è stato assolto dal gup di Vercelli, Fabrizio Filice, dall’accusa di omicidio preterintenzionale (la stessa che era stata contestata alla Romani) per non avere commesso il fatto. Contro l’assoluzione i ricorsi della procura di Vercelli e della Romani come parte civile. Di qui il nuovo processo. Si torna in aula, per l’ennesimo finale di partita, davanti alla prima sezione della Corte d’Assise d’appello di Torino. Cangialosi è con il difensore Andrea Delmastro, Elena Romani è accompagnata dai suoi legali di sempre, Tiberio Massironi e Roberto Scheda. Per l’accusa il sostituto procuratore generale Marcello Tatangelo chiede al presidente Fabrizio Pasi che vengano i protagonisti-antagonisti. Cangialosi sceglie il silenzio. «Confermo tutto quello che ho detto», risponde Elena Romani. «Sono a disposizione per qualsiasi domanda».

La mamma di Matilda risponde a due domande del sostituto pg, tese a circoscrivere l’orario in cui iniziò la tragedia. Il suo telefono cellulare aveva la segreteria telefonica. «Sì, all’epoca avevo la segreteria telefonica». Sui minuti in cui si è svegliata, in cui Cangialosi si è svegliato: lei quel giorno non aveva un orologio, non ha guardato l’orologio? «Non porto l’orologio, quindi non sapevo che ora fosse. Ricordo più o meno quell’orario perché avevo visto dal display del telefonino quando ho ricevuto la chiamata dell’amica». Quindi lei ha un ricordo diretto. E quand’era? «Le sedici... di preciso adesso non ricordo ... mi ricordo che avevo risposto alla chiamata e il telefonino dava le 16.20. Una cosa del genere». Ma ora non sa dirci con precisione quando era suonato... «Con precisione no». Elena Romani si mostra al termine dell’udienza. «Sono felice della giornata di oggi. Qualcosa si sta muovendo. Ho trovato positività, ho visto la voglia di arrivare alla giustizia per Matilda. Io mi sento forte, la forza me la dà Matilda. Ho lei». «Ho vissuto - dice Antonio Cangialosi - con angoscia tutti questi anni. Ma rimango sereno di fronte a una giustizia che finora mi ha ritenuto del tutto estraneo fatti». «Un grande penalista - chiosa il difensore Delmastro - diceva che il processo è già una pena. A suo tempo la procura aveva fatto una scelta garantista non chiedendo il rinvio a giudizio di Cangialosi. Ma non sono abituato a criticare con il senno di poi». Si torna in aula il 23 novembre: il 21 dicembre la sentenza. 

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