Nuove paure e il rispetto che manca

Maria Rita

Parsi

Chissà quali ulteriori varianti, cinicamente cinesi, ci riserva il Covid 19? Chissà quali antiche e nuove paure, prigionie, frustrazioni saprà “mettere in scena” quella pandemia che alimenta in tanti le fantasie di una onnipotente ma impotente ricerca di quella immortalità che sfida la morte? Ricerca che i folli che governano gran parte del Pianeta sono soliti fare, per sottomettere ai loro “diktat” le folle. Fantasie agite nell’ottica di quella inconscia “sindrome dell’autodistruzione” che interconnette il male di ciascuno al male di tutti. Nonostante le tante voci e i tanti coraggiosi atti che tentano di arginarlo. Fantasie distruttive da consegnare alle guerre, alle violenze, agli stupri, alla criminalità, agli assalti teppistici e antidemocratici dei sostenitori di Trump e di Bolsonaro. O, più modestamente, alle polititaniche sommosse degli antisportivi “ultras”. Vero è che il Covid 20 sta esplodendo. Ovvero il “burn out” individuale e collettivo che, dopo l’angoscia di morte prende forma e sostanza. E contagia e condiziona non soltanto la vita delle famiglie ma le scuole, la sanità, le strade. Fanno testo le aggressioni fisiche ai medici nei nostri superaffollati ospedali e l’aggressione subita da una professoressa dell’Istituto “Viola Marchesini” di Rovigo. Durante la sua lezione gli studenti della classe - con due degli allievi protagonisti, armati di pistola e videocamera e con il pubblico degli altri studenti, complici spettatori sghignazzanti - l’hanno colpita alla testa e ad un occhio con una pistola ad aria compressa. Ed hanno ripreso la scena. La professoressa è finita al pronto soccorso e l’aggressione è stata fatta circolare sui social alla ricerca di “like”. Se si considera che il “Viola Marchesini” è un’istituto tecnologico dove si insegna l’uso “corretto” delle tecnologie e che quei ragazzi erano allievi della prima superiore e, ancora, che nessuno di loro, tranne uno, né tantomeno i genitori dei ragazzi hanno chiesto scusa all’insegnante, questo fatto di cronaca può essere interpretato come un’allarmante metafora di ciò che avviene e di ciò che potrà avvenire, in seguito. E, quale ultimo interrogativo da porre a chi legge, vorrei chiedere se si può, insieme, riflettere su quel che sarebbe accaduto se, come per le stragi scolastiche negli Stati Uniti, quei ragazzi avessero potuto accedere non ad un’arma ad aria compressa ma ad una “pistola fumante”. Non auguro nulla di simile alle cronache nere della società, in cui viviamo! Ma avverto la necessità di mettere in guardia e di riflettere sui “giochi di guerra” virtuali e sul non rispetto di tanti giovani nei confronti di chi ha il compito di educare oltre che di dare sostanza a quelle linee guida necessarie ad arginare ogni degrado.

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