Milano, arriva Nino D'Angelo: l’eroe dei due mondi

Agli Arcimboldi nel quarantennale di ’Nu jeans e ’na maglietta. "In sala il mio pubblico popolare e quello colto"

Nino D'Angelo

Nino D'Angelo

Milano -  La rivoluzione col caschetto compie quarant’anni. Per il genetliaco della sua ‘Nu jeans e ‘na maglietta , vero manifesto del pop partenopeo anni Ottanta, Nino D’Angelo sbarca domani agli Arcimboldi e il 5 maggio al Teatro di Varese, raccontandosi tra le suggestioni, i ricordi, le notazioni a margine de "Il poeta che non sa parlare", definizione che gli incollò addosso la professoressa quando era bambino e che Gaetano-Nino ha ritirato fuori lo scorso anno per dare alle stampe un album, un libro autobiografico, e mettere in strada questo tour. "Negli ultimi anni mi sono un po’ depresso, come tutti" spiega il cantante napoletano, classe 1957. "Ma a spronarmi ci ha pensato l’amore della gente, quella di San Pietro a Patierno, il mio quartiere, dedicandomi un murale firmato da Jorit. È stato grazie a quell’affetto, a quel calore, che ho ritrovato la forza di scrivere. Ora ogni sera in platea c’è il popolo delle mie canzoni e sul palco le canzoni del mio popolo; anche se una volta ero suo figlio mentre ora sono suo padre".

Cos’è cambiato nel tempo? "Sera dopo sera noto che sono riuscito a mettere assieme, finalmente, il pubblico della prima e della seconda ora: quello popolare che ama lo scugnizzo in jeans e maglietta e quello dello sdoganamento intellettuale, dei suoni etnici, dei testi più sociali".

Al mondo dell’intellighenzia come c’è arrivato? "Negli anni Ottanta c’è stata una punta di razzismo nei miei confronti. Poi, dopo che Miles Davis e Goffredo Fofi hanno suggerito di ascoltarmi con altre orecchie, sono stato adottato da un mondo intellettuale che non conoscevo e che non mi conosceva. Penso di essere rimasto l’ “ignorante intelligente“ di sempre, anche se con nuovi amici magari più esposti in società, ma per me importanti come i guaglioni che amavano “Popcorn e patatine“. Mi sarebbe piaciuto sentire il giudizio di Miles Davis su quel che faccio oggi".

Rimpianti ne ha? "Uno che viene dal niente come me, cosa deve rimpiangere? Può solo ringraziare la vita di avergli dato tanto, al tempo delle sceneggiate napoletane sul palco dello Smeraldo come oggi che canta agli Arcimboldi. Milano è rimasta una costante della mia vita e della mia famiglia. Il mio secondogenito Vincenzo vive a Lodi e lavora alla Gazzetta dello Sport ".

Un sogno da realizzare? "Mi piacerebbe interpretare Eduardo, magari “Il sindaco del rione Sanità“. A teatro ho recitato tanto Viviani, ma niente De Filippo".

Il 21 giugno compie 65 anni. "Già, quest’anno sono pure i quaranta di ‘Nu jeans e ‘na maglietta e i 25 del David di Donatello per la colonna sonora di “Tano da morire“ di Roberta Torre. Di ragioni di fare festa ce ne sono: anche se con le mascherine, stiamo ricominciando a vivere. Certo, c’è la guerra e ogni sera “Odio e lacrime“, un pezzo scritto nel 2005 pensando all’Iraq, è il mio tributo alle sofferenze del popolo ucraino. In una circostanza del genere l’importante è non perdere la speranza. La canzone serve pure a questo".

 

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