Niguarda, il personale va dallo psicologo per gestire i pazienti Covid negazionisti

Nel reparto di Malattie infettive l’80% dei ricoverati non è vaccinato. Tra loro una piccola quota di "no vax" aggressiva con i medici

Il personale dell'ospedale

Il personale dell'ospedale

Ieri erano 494 i ricoverati per Covid in Lombardia, 57 in terapia intensiva, gli altri concentrati soprattutto nei reparti di Malattie infettive di una trentina di ospedali. Come conferma anche l’ultimo report della Fondazione Gimbe, si tratta "quasi esclusivamente di persone non vaccinate" dal coronavirus. Per paura, confusione sotto una tempesta informativa, sottovalutazione, consigli sbagliati, e poi c’è un piccolo zoccolo duro di "no vax" che crede al complotto. Pazienti difficili. All’ospedale Niguarda, il reparto di Malattie infettive ha riattivato i gruppi di supporto psicologico che avevano sostenuto il personale nei momenti più duri della pandemia, per aiutare medici, infermieri e altri operatori a gestire il rapporto con i negazionisti. Massimo Puoti, direttore del dipartimento di Malattie infettive del Niguarda, quanti ricoverati per Covid avete in questo momento? "Diciotto, anche se negli ultimi giorni ci sono stati picchi di 25-26". Quanti non erano vaccinati? "Circa l’80 per cento. Su 142 ricoverati da giugno ai primi di settembre, solo una trentina aveva completato il ciclo vaccinale. In grandissima parte anziani o persone immunodepresse che hanno difficoltà a sviluppare anticorpi; 19 avevano più di 85 anni". L’altro 80% perché non si era vaccinato? "Per molti motivi diversi. Chi per problemi logistici, ad esempio diversi stranieri, chi perché consigliato da qualche operatore sanitario che forse non era aggiornato sulle indicazioni pubblicate sul sito del Ministero, come alcune donne in gravidanza; oppure che si è basato sulle proprie esperienze e opinioni benché non supportate da dati scientifici. Ci sono persone che non erano convinte, e si sono convinte quando abbiamo parlato con loro. Penso che oltre a discutere di green pass e vaccinazione obbligatoria dovremmo pensare alla formazione obbligatoria dei sanitari, inclusi i farmacisti, per fornire a tutti gli strumenti necessari a rispondere ai dubbi delle persone". E poi ci sono gli irriducibili. "Per fortuna un’esigua minoranza. C’è chi è polemico sull’esistenza del Covid, chi sul vaccino, chi sulle cure. E ha un atteggiamento aggressivo nei confronti degli operatori affaticati da quasi due anni di pandemia". Per questo avete riattivato il supporto psicologico? "Vede, sento circolare opinioni originali sul fatto che a chi non si vaccina si dovrebbero far pagare le cure: l’articolo 32 della Costituzione dice che dobbiamo curare tutte le persone senza distinzioni, nel modo migliore possibile professionalmente e, aggiungerei, anche empaticamente. Se hanno una posizione ideologica, magari spendendoci di più per ottenere quella fiducia tra paziente e medico che è uno dei cardini del percorso di cura. Abbiamo ripreso gli incontri con i nostri psicologi clinici per ridurre lo stress del personale, per scongiurare anche solo il rischio che riduca la loro empatia e per aiutarli a costruire un rapporto con queste persone. Molte le abbiamo convinte a fare la dose post-Covid, la stragrande maggioranza quando esce ha cambiato idea; poi c’è stato anche un paziente che ha continuato a dire “meglio intubato che vaccinato” dopo venti giorni in rianimazione, ma sono casi rari". Perché vengono in ospedale, se non credono nella medicina “ufficiale”? "Perché non respirano; qualcuno ha rifiutato il ricovero ed è tornato dopo due giorni, in condizioni peggiori. È un diritto rifiutare qualsiasi cura, ma nessuno sinora ha rifiutato l’ossigeno". Pretendono cure diverse? "C’è chi vuole gli anticorpi monoclonali appena scopre di essere positivo, anche quando non sono indicati perché non ha un alto rischio. Oppure non si fida della medicina basata sulle evidenze sulla quale sono organizzate le nostre cure. Vede, nella prima fase di questa pandemia le terapie derivavano in effetti da opinioni, dall’osservazione in laboratorio sugli effetti di alcune sostanze, da esperienze individuali e collettive. Ma adesso abbiamo circa 190 mila pubblicazioni scientifiche sulla Covid, sono stati effettuati o in corso circa 6.500 trial clinici randomizzati, cioè basati sul confronto dei risultati in gruppi di persone suddivise casualmente tra chi riceve e non riceve la terapia. Sui vaccini e sulle cure che proponiamo abbiamo più studi che portano evidenze scientifiche. Mentre per altre cure che erano sembrate efficaci non sono state prodotte: anche noi eravamo entusiasti della terapia al plasma, ma poi gli studi randomizzati non ne hanno dimostrato l’efficacia ed è stata abbandonata". Quali altre terapie alternative chiedono gli “irriducibili”? "Ad esempio la clorochina, o l’ivermectina (l’antiparassitario per cavalli, ndr ). Ma il ricorso alle alternative è giustificato solo all’interno di studi e randomizzati, non in cui tutti prendono le stesse medicine. Tra i 6.500 trial in corso ce n’è uno su un antiandrogeno che sembra ridurre il tasso di ricoveri, ci sono dati sulla L–Arginina e se ci dimostrano che funziona saremo i primi a usarla. Gli studi non sono fatti solo da case farmaceutiche, ma anche dall’Oms e da gruppi di medici indipendenti; c’è pure un sistema di controlli per proteggerci dagli “abusi di Big Pharma”. Non abbiamo preclusioni sulle terapie domiciliari, servono semplicemente evidenze scientifiche, basate su numeri abbastanza alti perché in generale solo una piccola percentuale di persone finisce in ospedale per il coronavirus, con o senza terapia. La scienza va avanti coi dati, non in base a posizioni ideologiche. È il metodo scientifico, purtroppo persino tra i colleghi c’è chi privilegia l’esperienza rispetto alla medicina basata sulle evidenze. E manca, a cominciare dalla scuola, un’educazione su come funziona il progresso scientifico: si pensa alla scoperta mirabolante di un genio, in realtà è il frutto del lavoro di tanti".