Crisi e M4, giù la saracinesca dopo 33 anni

Una decisione sofferta per Clelia Mambrini di "Le Donne di Diana", da 33 anni è uno dei volti più conosciuti di via Lorenteggio

Clelia Mambrini di "Le Donne di Diana" (Newpress)

Clelia Mambrini di "Le Donne di Diana" (Newpress)

Milano, 3 gennaio 2018 - Da 33 anni è uno dei volti più conosciuti di via Lorenteggio. Prima come responsabile di una nota catena di abbigliamento sul viale, poi come titolare della sua boutique elegante. Ma è una storia lavorativa senza lieto fine quella della signora Clelia Mambrini, 73 anni, che svende tutto in queste settimane e il 31 gennaio chiuderà per sempre le saracinesche del suo negozio «Le donne di Diana», al civico 47, lasciando anche a casa una dipendente. Una decisione sofferta per questa donna garbata, avvicinatasi al settore del commercio nel 1985 dopo aver perso il marito a soli 40 anni e con un figlio piccolo: «Ho dovuto trovare un lavoro per necessità. Ma poi è diventata una passione totale, tutta la mia vita».

Facciamo un salto nel passato. Quando ha iniziato a lavorare?

«Il 20 maggio del 1985, dopo aver risposto all’annuncio lavorativo su un giornale di un noto store sulla via, dove sono cresciuta professionalmente. La Lorenteggio non era quella di oggi: era un vero asse commerciale che attirava gente anche dal centro. Ricordo le calzature invidiabili di De Martino, sotto i portici, la profumeria elegantissima Mina, vicino piazza Frattini. Gli esercenti hanno vissuto decenni magici, l’ombra della crisi era lontana e fenomeni come l’e-commerce erano ancora lontani. C’era poi il culto dell’eleganza. Appena superati i 30 anni l’uomo era attento ad abbinare la cravatta giusta con la camicia, la donna ne indossava una di seta sotto il tailleur».

Poi cosa successe?

«Nel settembre del 2006 ho deciso di aprire una mia attività rivolta all’abbigliamento femminile. Le cose hanno iniziato a complicarsi dopo la crisi degli ultimi anni. Che ha esaurito l’euforia per il domani e modificato la natura degli acquisti. I più giovani, in particolare, non sono interessati alla qualità del tessuto o alla rifinitura. Preferiscono spendere poco con i marchi del fast fashion e gettare il capo a fine stagione. Il colpo di grazia è stato l’apertura del cantiere per la M4 nel 2015 che ha ridotto i parcheggi e il passaggio in zona. Personalmente ho subito un calo del 30% del fatturato. Io ho resistito un po’ con la mia clientela affezionata che qui sempre passava anche solo per un saluto. Ma quest’estate c’era il deserto. E ho dovuto prendere la decisione più sofferta della mia vita: chiudere. Tra affitto, spese del commercialista, bollette non era più possibile andare avanti».

Come hanno appreso la notizia le sue clienti?

«Malissimo. Alcune le ho conosciute bambine e le ho viste diventare donne, prendere la laurea e sposarsi. Una delle più affezionate, appena saputo della mia scelta, mi ha suggerito di aprire un negozio in casa. Una dirigente del settore bancario mi ha chiesto di accompagnarla quando sarà costretta a rivolgersi altrove per i suoi acquisti, perché sarei una maestra di stile. Un complimento che mi ha commosso. “Forse non mi sono limitata a vendere solo vestiti in questi anni”, mi sono detta».

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