La ’ndrina e quella ditta per la coca: "Fatta, prendiamo lo champagne"

Le intercettazioni dell’operazione Lex. Così fu costituita la società

Marco Ferrentino davanti a casa sua

Marco Ferrentino davanti a casa sua

Milano, 5 novembre 2016 - La nascita della United Seed’s Keepers è stata un parto difficile anziché no. Il piano architettato dal presunto boss Marco Ferrentino e dal braccio destro Giuseppe Dimasi, entrambi fermati dai carabinieri insieme ad altre 39 persone su mandato della Dda di Reggio Calabria, è semplice: creare una ditta di import-export che faccia da veicolo per il traffico internazionale di cocaina dalla Colombia. La srl verrà intestata a due prestanome – il 34% a Marina Panigo e il 66% a una cugina di Fabio Aschei – per coprire il reale proprietario della ditta: il reggente della cosca di Laureana di Borrello, alias "il Bambinello Gesù", come abitualmente veniva indicato dai sodali nelle conversazioni telefoniche intercettate dai militari di Gioia Tauro.

La società avrà sede inizialmente in via Settembrini 29 – lì dove c’è lo studio legale dell’avvocato Domenico Chindamo (indagato per trasferimento fraudolento di valori) – salvo essere poi trasferita in via Boncompagni 93 a Roma per depistare gli investigatori. In realtà, emerge dal decreto di fermo sottoscritto dal capo della Dda reggina Federico Cafiero De Raho e dai pm Gaetano Paci e Giulia Pantano, non tutto è andato liscio. Gli intoppi originano dall’impossibilità della Parigo e del marito Fabio Mezzasalma di staccare gli assegni per la costituzione della United. Una mancanza di liquidità ("Ti ribadisco che sono tre mesi che non prendo più una lira...", rivela candidamente Mezzasalma a Dimasi) che blocca l’iter. Sì, perché, come spiegato dall’avvocato Chindamo ai futuri titolari (solo sulla carta), "i soldi devono uscire dal loro conto... per conto dei soci, pro quota...".

Non vanno bene i contanti già messi da Ferrentino, sono necessari "i circolari" degli intestatari della società. Siamo ai primi di ottobre del 2014, e il progetto rischia di saltare. Servirà una telefonata chiarificatrice tra Ferrentino e Chindamo, captata nel tardo pomeriggio del 7 ottobre, per riportare la calma: "Te l’ho detto dall’inizio – ribadisce il presunto capo clan – abbiamo questa difficoltà economica, purtroppo io ho bisogno di queste persone, di aprire la società per potere...". Replica: "L’ho capito, l’ho capito". Chiaro il riferimento, per gli investigatori, al fatto che Ferrentino "non possiede i requisiti di legge previsti per l’apertura della società". E arriviamo alle 17.44 del giorno dopo: la società è stata ufficialmente fondata. Dimasi e Ferrentino si lasciano andare: "Prepara una bottiglia di champagne che se è andiamo e la beviamo...", sorride il primo. "La preparo, la preparo, mi sento propenso", conviene il secondo. E ancora: "Va bene, che ce la beviamo questa sera una bottiglia di Dom Pèrignon". "E – chiosa Dimasi – alla faccia di questi cornuti che ci sentono!". Gli stessi che lo hanno fermato l’altroieri all’alba.

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