
Luoghi di culto in ex attività commerciali
Milano, 25 marzo 2016 - Una costellazione di piccoli luoghi di culto. Spesso ritagliati in garage, ex negozi o capannoni. Locali riadattati per creare case di cultura e sedi di associazioni islamiche. «Di fatto, moschee abusive», protestano i residenti dei vari quartieri. Alla periferia nord est Samuele Piscina, capogruppo Lega in Consiglio di Zona 2, ha presentato una mozione che chiede di «chiudere tutte le moschee nei nostri quartieri». Punta il dito sul triangolo tra via Padova e viale Monza, «ormai un ghetto simile a Molenbeek a Bruxelles». Tante le moschee del territorio «mascherate da associazioni culturali», secondo i critici: l’associazione islamica di Milano-Moschea Santa Maria in via Padova 366, la Bangldesh cultural & welfare association in via Cavalcanti 8, l’Alleanza islamica d’Italia di viale Monza 50 (in cui non si svolge attività di preghiera, precisano dal Caim-Coordinamento associazioni islamiche), la Casa della cultura islamica in via Padova 144 e l’associazione culturale Al Nur di via Carissimi.
Proviamo a fare un giro per la città. I luoghi di preghiera spuntati in città sono una ventina, da quelli “storici” come l’Istituto culturale islamico di viale Jenner 50 ai nuovi nati. Meno di un anno fa è stato creato lo “Sri Lanka islamic welfare center” di via Faà di Bruno a pochi metri da piazzale Cuoco allestito in un ex magazzino all’interno di un condominio. Dal punto di vista dei residenti, «anche se tutte le carte per l’affitto e la permanenza sono in regola, una moschea che accoglie centinaia di persone non può stare dentro un seminterrato». Ma c’è un altro tipo di preoccupazione: «Non sappiamo chi frequenta questi posti. E nessuno controlla ciò che tra quelle mura viene detto o fatto», continua un gruppo di abitanti di Quarto Oggiaro, che storce il naso davanti a un’altra moschea in piazzetta Lopez sorta al posto di una panetteria. «Dopo 5 anni di amministrazione Pisapia non siamo arrivati nemmeno all’assegnazione di un’area – ribatte Davide Piccardo, del Caim –. Per pregare le alternative sono la strada o casa nostra. In strada si crea disturbo ai cittadini, e “casa nostra” sono le sedi delle nostre associazioni. Stiamo parlando di persone che vogliono pregare e non compiere reati. Noi siamo vittime, assurdo che non si trovi una soluzione degna».