Milano, stop alla moschea di via Carissimi

I mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto

 L’ingresso del seminterrato di via Carissimi 19 (Newpress)

L’ingresso del seminterrato di via Carissimi 19 (Newpress)

Milano, 6 giugno 2019 - «I mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permessi di costruire». Peccato che l’associazione culturale Al-Nur, legalmente rappresentata da Hoassian Delowar Munshi, non abbia mai comunicato al Comune di aver trasformato quei 200 metri di seminterrato al civico 19 di via Carissimi in una moschea, mutandone nel 2010 l’iniziale destinazione d’uso di «laboratorio». Per questo, il 10 dicembre del 2013, Palazzo Marino intimò all’associazione islamica di «desistere dall’utilizzo dell’immobile». Un provvedimento subito impugnato dai diretti interessati e che ieri è stato ritenuto legittimo in via definitiva dal Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso di Al-Nur, rappresentata dall’avvocato Luca Bauccio.

I giudici di Palazzo Spada hanno quindi confermato la decisione di primo grado del Tar Lombardia, che nel 2015 aveva respinto l’istanza. Dal canto loro, i rappresentanti di Al-Nur hanno sostenuto «che i locali in questione» non sarebbero «mai stati utilizzati per finalità diverse da quelle associative». Per il Consiglio di Stato, invece, «la destinazione del seminterrato (in passato, peraltro, già oggetto di domanda di condono per l’abuso consistente nella trasformazione dello stesso locale da cantina in laboratorio) a luogo di culto è comprovato da numerosi e concordanti elementi di prova». In primo luogo, sottolinea il collegio presieduto da Giulio Castriota Scanderbeg, ci sono «le risultanze dei sopralluoghi effettuati dalla polizia locale nel mese di agosto 2010 e nel 2014, da cui risulta che il suddetto seminterrato non viene utilizzato a laboratorio, bensì quale luogo di raduno dei fedeli che si riuniscono in preghiera»; senza contare «la dichiarazione confessoria resa dal legale rappresentante dell’associazione, secondo cui nell’immobile in questione si svolgono anche “anche incontri di preghiera che vengono effettuati nell’arco dell’intera giornata secondo le regole poste dalla religione islamica”».

Inoltre, la richiesta (accolta) di Al-Nur di essere inserita nell’Albo delle associazioni e organizzazioni religiose del Comune non fa che dimostrare, sottolineano i giudici, che si tratta di un’associazione islamica. «Le motivazioni secondo cui quello sarebbe un luogo di culto mi sembrano superficiali: si prega ovunque, anche in casa o ai giardinetti, ma questo non li rende luoghi di culto – sottolinea Omar Jibril, portavoce del Caim, il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano –. Ora valuteremo con i legali come agire. Le opzioni possono essere diverse: dalla richiesta di concessione di un’area al Comune alla scelta di unirsi a un’altra associazione culturale. Il rispetto della legalità per noi viene prima di tutto, ma bisogna anche garantire dei diritti».

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