Morto soffocato a 14 anni, l'esperto: "Demonizzare i social non serve"

Bettiga, presidente degli psicologi lombardi: fenomeno da capire

Igor Maj

Igor Maj

Milano, 15 settembre 2018 - La polizia postale, coordinata dal procuratore aggiunto Letizia Mannella e dal pm Maria Letizia Mocciaro, ieri ha fatto oscurare altri 15 video caricati su YouTube simili a quello visto da Igor Maj, il 14 enne che si è impiccato lo scorso 6 settembre con una corda. Al provider è stato chiesto di bloccare, almeno ai minorenni, la visione di questi filmati che, in modo più o meno esplicito, forniscono informazioni su pratiche come il “black out”. Una sola regola per quella sfida assurda: si tratta di togliersi volontariamente il fiato, soprattutto per auto-soffocamento, per vedere l’effetto che fa ritrovarsi sulla soglia della perdita dei sensi. In quel momento, infatti, l’altissima concentrazione di anidride carbonica nel sangue (per la contemporanea assenza di ossigeno) darebbe una sorta di euforia. Che in realtà non è altro che un rallentamento dell’attività cerebrale, l’anticamera dell’arresto cardiaco. Fino a ieri sera le immagini potevano ancora essere viste sulla piattaforma, mentre ora, per effetto del decreto di inibizione firmato dai magistrati con l’ordine ai provider di rimuovere questo e altri filmati simili, per accedere alle immagini è necessario entrare con un account da maggiorenne. «Accedi per confermare la tua età. Questo video potrebbe essere inappropriato per alcuni utenti», è la scritta che compare. Sotto un avviso: «video soggetto a limiti di età (per effetto delle norme della community)». I magistrati hanno disposto «il sequestro preventivo e d’urgenza dei siti dove vengono pubblicati» questi video con ordine «agli internet service provider» di rimuoverli. M.Cons. 

«La prima cosa che viene naturale, in questi casi, è demonizzare la tecnologia. Ma la tecnologia evolve e non possiamo pensare di arrestarla, bisogna piuttosto avere strumenti altrettanto evoluti per comprenderla e comprenderne i rischi».

Lo spunto di riflessione di Riccardo Bettiga, presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, parte dalla cronaca, dalla morte dell’adolescente Igor Maj, giovane promessa dell’arrampicata trovato impiccato una settimana fa nella sua cameretta, probabilmente a causa di un folle gioco scovato on line. Il “blackout challenge”, che consiste nel soffocarsi per sperimentare le stesse sensazioni di quando si sta morendo o l’euforia di quando ci si ritrova senza ossigeno a 7mila metri di quota.

Il video visualizzato dal ragazzino poco prima della disgrazia fa passare questa pratica come un gioco. I nativi digitali percepiscono meno rischi rispetto alla generazione precedente? Quale meccanismo scatta?

«Detto che i motivi che portano a cimentarsi in una pratica del genere non si possono generalizzare, in quanto ogni persona ha la sua unicità, sottolineo che c’è un problema diffuso: difficilmente si ci rende conto del fatto che virtuale è reale. Automaticamente, il vedere qualcosa in rete porta a sottostimare i rischi. Questa è una riflessione antica, che parte dalla diffusione dei videogiochi: quando si “perde una vita” (questo il linguaggio, e il termine dice già tutto) basta mettere un nuovo gettone per ricominciare con una nuova partita. Ma, nella realtà, la vita si perde e basta. Passo successivo: i giochi interattivi, che ci proiettano in un avatar virtuale. Il dolore non è reale, di conseguenza non si strutturano i meccanismi evolutivi».

Cioè?

«Il meccanismo del dolore è evolutivo. Se tocco il fuoco e mi brucio, mi terrò lontano dal fuoco. Ma se il fuoco è virtuale non scatta quel freno. Nel passaggio dal virtuale al reale si sottostimano le conseguenze, che sono vere. Ma non si può tornare indietro infilando un altro gettone».

Cosa possono fare gli adulti?

«Intanto, prendere atto di un cambiamento: in passato mediavano i rapporti relazionali e sociali dei propri figli attraverso il telefono di casa. Ora non più. Il mondo social è diventato un “influencer” più potente (per questo molti genitori cercano di recuperare terreno aumentando la propria presenza a scuola). Che fare? I genitori devono affidarsi a professionisti. In questo senso gli psicologi sono investiti di una grande responsabilità: aiutano a non demonizzare la tecnologia, che non è “cattiva” in sé ma per l’uso che se ne può fare, ad affrontare con la giusta chiave di lettura i fenomeni che genera, per conoscerli e affrontarli con consapevolezza».

E poi?

«La soglia di attenzione deve essere molto alta. Non considerare “normali” dei cambiamenti repentini. Molto importante anche quello che si semina prima, nell’infanzia: porre dei paletti, dei limiti morali. E soprattutto: non aver paura di educare. Interiorizzare un valore è il più potente paracadute».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro