Morto Nanun, braccio destro del bel Renè

Rossano Cochis annegato a 73 anni: la banda Vallanzasca, il carcere e il lavoro in una comunità di recupero.

Migration

di Gabriele Moroni

Gli è stato fatale quell’ultimo tuffo nel mare pugliese di Vieste. Quando è riaffiorato, era già cadavere. Un probabile infarto ha messo fine all’esistenza, tutta un turbinio di eccessi e avventure, di Rossano Cochis. Dei suoi 73 anni ne aveva trascorsi 37 in carcere dopo essere stato condannato all’ergastolo. Era libero, a differenza del suo antico capo Renato Vallanzasca, che proprio in questi giorni si è visto negare la semilibertà. Del René della Comasina Cochis era stato luogotenente, braccio destro, socio, amico. “Nanun”, pare lo chiamasse Francis Turatello, rivale di Vallanzasca sulla piazza opulenta di Milano, in seguito suo amico al punto da fargli da testimone alle nozze in carcere. Un altro soprannome era “Mandingo”, per via della stazza ragguardevole che ricordava i trascorsi di parà. Per Vallanzasca è Ross e basta. "Un grande bandito senza tempo" lo ha definito, annunciando su Facebook la sua scomparsa, Cecco Bellosi, ex Potere Operaio, ex colonna “Walter Alasia” delle Brigate rosse. Lo aveva avuto vicino per quasi 15 anni alla comunità “Il Gabbiano” per il recupero dei tossici, prima a Tirano e poi a Pieve Fissiraga, nel Lodigiano.

La vita come un romanzo. Definizione banale ma assolutamente calzante per quella di Cochis. Uno spartiacque che cade fra il 1971 e il ‘72. Rossano fa il rappresentate e abita a Carpenedolo, nel Bresciano, il suo paese. Un amico gli propone una rapina in banca vicino a Rubiano. Tutto bene, tutto facile, tranne che a Rossano l’emozione del neofita gioca un brutto scherzo e gli scappa la pipì, fortissima, prima e durante il colpo.

L’apprendistato è veloce, a resto provvede il destino che gli fa conoscere Roberto Vallanzasca, fratello di Renato. Il cerchio si chiude. La banda riunita attorno al bel René agisce con un misto di spavalderia e incoscienza, senza bisogno di troppe strategie. Vive giorno per giorno, ma che giorni. Rapine, anche tre in una mattinata, come una volta fra Peschiera Borromeo e Pantigliate.

Un pomeriggio Renato e Nanun sono allungati in un letto matrimoniale a spartirsi i favori di una bellissima donna. Vallanzasca ha fra le mani un quotidiano del pomeriggio. C’è un articolo su un imprenditore milanese, si chiama Trapani, moglie, figlie, la foto della loro villa. "Pronto, buonasera. C’è Emanuela". Non c’è, è a sciare, tornerà domenica sera. La rapiscono una settimana dopo. Sul sequestro si deposita anche qualche petalo rosa per la storia dell’innamoramento fra il boss rampante e la ragazza prigioniera. “Io le ho insegnato a condire l’insalata con il limone”, si vantava, più modestamente, Rossano Cochis. Riscatto un miliardo spartito in quattro fra il boss, Rossano, Mario Carluccio e un quarto rimasto senza nome. Ross, brav fioeu, consegna i suoi 250 milioni alla mamma.

Non è sempre tutto romanticismo criminale. Cochis viene arrestato e rispedito a San Vittore e di lì nel carcere di La Spezia da dove riesce incredibilmente a evadere con due complici nel più classico dei modi: seghetto e lenzuola annodate. Subito dopo, lui e Vallanzasca danno l’assalto al carcere di Lodi e a quello di Lecco per liberare altri due. E’ in 1976. La banda cala al sud. Una delle scorrerie ha un epilogo sanguinoso. Rapina in un istituto di credito di Andria. Emanuele Di Ceglie, un impiegato di 53 anni, afferra il fucile a canne mozze di uno dei quattro banditi. Un complice lo stende con una raffica. Escono dalla banca con due ostaggi e si danno alla fuga “Non ho mai ucciso - proclamava Rossano Cochis - e invece l’ergastolo l’ho beccato per la morte di un bancario di Andria che non è morto per mano mia. Io non c’entro. Né io né Renato, che ha preso il carcere a vita come me”.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro