
Maria Teresa Avallone, morì a 39 anni, dopo tre giorni di coma
Confermata in Appello - anche se diminuita di quattro mesi - la condanna per la morte di Maria Teresa Avallone sottoposta a un trattamento per il sollevamento dei glutei. Il Tribunale di Monza aveva inflitto un anno e quattro mesi di reclusione, con la pena sospesa e non menzione della condanna sul certificato penale, per l’accusa di omicidio colposo nei confronti di Maurizio Cananzi, chirurgo estetico con studio a Seregno (Monza).
Al processo si sono costituiti parti civili i genitori e i fratelli di Maria Teresa, che hanno ottenuto un risarcimento dei danni con una provvisionale di 80mila euro. Effetti di natura civile ora confermati dalla sentenza della Corte di Appello di Milano, che ha fatto scendere la pena a un anno di reclusione sulla base di motivazioni che non sono state ancora rese pubbliche.
La vittima 39enne, impiegata all’accettazione dell’ospedale San Raffaele di Milano e residente a Desio (Monza), si era recata il 5 marzo del 2019 nello studio medico per il trattamento. Non era la prima volta che si sottoponeva a piccoli ritocchi, anche con somministrazione di anestesia locale. Ma quel giorno, secondo la ricostruzione giudiziaria, pochi minuti dopo l’anestesia andò in arresto circolatorio. Il chirurgo, che in quel momento si trovava da solo con la paziente nell’ambulatorio, ha iniziato il massaggio cardiaco e ha chiesto l’intervento del 118. Poi l’arrivo dell’ambulanza e il trasporto all’ospedale San Gerardo di Monza, dove la 39enne è morta dopo tre giorni di coma. Per l’imputato la pm aveva chiesto la condanna a 2 anni con la pena sospesa, sostenendo che l’utilizzo del defribillatore presente nello studio medico avrebbe potuto salvare Maria Teresa. Il giudice ha ritenuto "evidente la gravità della colpa del medico, lo scarto marcato, nettissimo e inescusabile delle sue condotte dalle regole - per certi versi le più elementari - della scienza medica", aggiugendo che "si tratta di violazioni che denotano una certa negligenza ed imperizia". Il medico nega che il defibrillatore fosse utilizzabile per la presenza di flusso elettrico da lui riscontrato nella paziente e non è escluso che ricorra in Cassazione.
Stefania Totaro