Moni Ovadia, il ricordo: "Quel giorno che premiarono Dario Fo e la Zanicchi"

Moni Ovadia racconta la sua amicizia con Dario Fo

L’attore Moni Ovadia

L’attore Moni Ovadia

Milano, 14 ottobre 2016- Umberto Eco e ora Dario Fo. Moni Ovadia, ebreo sefardita, attore e drammaturgo, oggi outsider della politica, è una grave perdita per la cultura italiana...

«Con Fo se ne va un altro colosso, una personalità che non ha eguali, confronti possibili, dirompente». E la mente va indietro nel tempo, ai primi ricordi. «L’ho conosciuto nel 1977, nella Palazzina Liberty, da ammirato spettatore rimasto letteralmente folgorato da Mistero buffo, uno di quegli spettacoli che ti cambiavano gli orizzonti, uscito dal genio teatrale italiano, lo spettacolo più visto al mondo. E negli anni, frequentandolo, ho imparato, come altri, tutto da lui, mi sono abbeverato alla sua scuola di affabulatore, di narratore, nessuno può dire di non avere un debito con lui».

Lei raccontava ad Eco barzellette ebraiche. E con Fo?

«Tutti mi chiedono un ricordo personale...(Moni sorride, ci pensa un attimo) e mi è venuto in mente che una volta, di tanti anni fa, siamo stati insigniti di un premio dal Patriarcato di Venezia dal suggestivo titolo “Il sorriso dell’angelo”. Ci misero al collo un grosso crocifisso ma il bello fu quando Fo scoprì che, per par condicio, il premio veniva assegnato a Iva Zanicchi e Fedele Confalonieri....Dario ebbe quasi uno svenimento. Era allibito e si infuriò, nulla lo accomunava a quelle persone, appartenevamo a mondi diversi. Una situazione paradossale ma alla fine anche divertente».

Cosa le mancherà di Fo?

«Prima di tutto l’immenso artista, che con il gesto, la parola, lo sberleffo, lo sghignazzo, le contorsioni di questo prodigioso fisico (il corpo dell’attore e la voce sono in grado di rappresentare mondi) ha svelato universi, lotte di classe. Mistero Buffo fu un’epifania. Apparve questo uomo con il maglione nero, alto, allampanato, con il microfono appeso al collo, e si rivelava il mondo degli umili. Giullare mai asservito ai potenti che smascherava con la sua ironia il suo sberleffo, epopea dei vinti, dei ribelli....il potere gli aveva scatanto il cane da guardia della censura, mi sento vicino a lui, apparteniamo alla categoria dei ribelli di chi non è disposto a compromessi al ribasso».

Schierarsi a favore della Palestina contro Israele le ha alienato le simpatie della comunità ebraica...

«Sì, ben poca cosa rispetto all’operazione che ha fatto Fo, utilizzando il teatro, la sua satira per smascherare ogni forma di prevaricazione, di potere, dare voce a chi non ce l’ha».

Fo controcorrente anche in politica, con l’appoggio ai Cinquestelle...

«Una scelta coerente con la militanza, la sinistra alla quale appartevane da tanti decenni dov’è? Dov’è questa sinistra radicale attaccata a percentuali da prefisso telefonico incapace di esprimere un progetto politico di ampio respiro? Allora il gesto di Dario Fo a sostegno di Grillo è stato il gesto di chi dice: benissimo, appoggio quelli che vanno contro “la baracca del potere” e contro chi non si sa contrapporre al potere. La sua è stata una scelta di ribellione, contro l’establishment, contro quelli che parlano di antipolitica dopo aver ridotto la politica ad una cloaca. Ho apprezzato, anche in questo, il suo coraggio e la sua radicalità».

Ci sono altri Fo all’orizzonte?

«Non ne vedo. Lui era unico, impossibile scindere la sua militanza dalla sua arte. Uno che nel qui e ora ti porta nella storia, nell’interiorità delle genti, ti porta a vedere mondi...trasfigurandoli nell’arte. Talvolta quando ero con lui lo ammiravo, in silenzio, e pensavo: sono seduto vicino ad un uomo che ha la stessa grandezza di un Goldoni, e io sto qui... Ci mancherà. Dario affrontava tutto con energia, gioia di vivere, lui non lo faceva ma “era“ proprio così».

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