Arrivò a Milano con la prima adozione internazionale, ora allena calciatrici di ogni età

Joanna Borella nel 1967 lasciò l'India per approdare nella città all'ombra del Duomo: amatissima, oggi è diventata per tutti Mister Jo

Joanna Borella insieme ai baby talenti che prepara per il calcio

Joanna Borella insieme ai baby talenti che prepara per il calcio

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Milano - Sono nata insieme al pallone: così ha inizio la storia di Joanna Borella. Apripista in tutto: la sua fu la prima adozione internazionale a Milano. Correva l’anno 1967. "Il 12 novembre arrivai dall’India, avevo solo 15 mesi – racconta – un amico dei miei era medico-chirurgo e si occupava di situazioni difficili nel mondo. Aveva già adottato tre bimbi in Italia, decise di aprire il Ciai, Centro italiano adozioni internazionali. Io ero in orfanotrofio: c’era solo suor Lina con 150 bimbi e non avevano tempo per insegnarmi a camminare, mi avevano affidata ai più grandi". Arrivata a Milano, non aveva ancora mosso i primi passi la piccola “Giovanna“, come la chiamavano in casa.

L'attrazione per il pallone

"Ero lì sulla sdraietta e vedevo i miei fratelloni Giacomo e Sebastiano giocare a pallone, ero così attratta da quella cosa che rotolava che ho iniziato a seguirli. Mi sono alzata in piedi e, da allora, il pallone non l’ho mai lasciato". Oggi è coach, ha creato una squadra, “Le bimbe nel pallone“, nel quartiere di Nolo, dove allena calciatrici dai 3 ai 70 anni. La sua storia è diventata un romanzo “Le ragazze di mister Jo“, per Mondadori, scritto a quattro mani - e tra un palleggio e l’altro - con Stefania Carini.

Gli sguardi sospettosi

Mister Jo ricorda le sue scorribande, con i bimbi più grandi che all’inizio magari arricciavano un po’ il naso nel vedere quella bimbetta che "invadeva" il loro campetto. Lei però tirava dritto, asfaltando ogni tabù. "Anche a scuola ero l’unica ragazzina della mia generazione su 1.500 studenti ad avere questa passione grande. La maestra scuoteva la testa: “Questa bambina è proprio un maschiaccio“. Mi vedeva preparare con cura la palla con la carta riciclata e appena suonava la campanella dell’intervallo schizzare in corridoio. Mi ero fatta riconoscere da tutti", sorride. Di partita in partita, un giorno arrivò anche l’occasione per entrare in una squadra “vera“.

La nascita dei figli

"Negli anni ’90 – ricorda – avevo già 30 anni ed era dall’altra parte della città... ma non volevo rinunciare alla mia passione. La svolta c’è stata poi, quando sono nati i miei figli, Filippo e Maria. Mi sono allenata sempre, finché ho potuto e quando ancora li allattavo. E ho capito che il calcio poteva essere utile non solo per le bambine ma pure le madri". Così nel 2015 ha dato il fischio d’inizio a “Bimbe nel pallone“, appunto, associazione sportiva dilettantistica e scuola di vita. "Voglio cambiare il modo di fare calcio – sottolinea Borella, che è anche operatrice d’infanzia –, dobbiamo essere educatori prima ancora che allenatori, insegnare a giocare con tutti e il valore del rispetto. La mia squadra si chiama così perché siamo tutte bimbe, in fondo, non dobbiamo smettere di giocare, da 3 a 99 anni, fino a quando si può".

Quando inventò la Dad del calcio

E anche oltre. Si era inventata pure la “Dad del calcio“ durante il lockdown. "È stato il modo per far fare attività fisica alle bambine, facendo slalom attorno alla sedia, riscoprendo la stessa palla di carta che usavo quando ero in prima elementare io, all’intervallo". Oggi continua a coinvolgere le mamme, le donne. "Perché vivo sulla mia pelle le responsabilità di avere una famiglia: spesso tutto ricade sulle donne, ma avere una passione grande ti permette di trovare energia, di non stare da sola". Scendono in campo le bimbe, scendono in campo le Nolers. Ventenni e settantenni possono anche giocare insieme, ciascuna dà il suo contributo. "Senza ansia, senza una competizione spinta. Ritroviamo il piacere del gioco, alla faccia dei “veneziani“. Tutte insieme siamo forti. E lo diciamo forte in uno dei quartieri più multiculturali di Milano".

 

 

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