Milano, maxi lascito alla Chiesa: ma è duello sul testamento

Una signora ha destinato 368mila euro per realizzare nuovi luoghi di culto. Per i parenti il beneficiario non è chiaro, per l’Arcidiocesi sì: guerra legale.

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di Nicola Palma

"Per la costruzione di nuove chiese della Diocesi di Milano". È tutta incentrata su questa frase la battaglia legale che vede contrapposte l’Arcidiocesi di Milano e la sorella di una donna defunta qualche anno fa. La frase è contenuta nei due testamenti – il primo del 1990 e il secondo del 2011 – che la signora Elsa ha redatto quando era in vita: inserendola, aveva inteso destinare una cifra cospicua alla Chiesa per la realizzazione di nuovi luoghi di culto. Peccato che, secondo quanto si intuisce leggendo le motivazioni di una recentissima sentenza della Cassazione, la parente della donna ne abbia messo in dubbio il significato, anche perché nel testamento non è indicato un beneficiario chiaro. Di conseguenza, il 18 dicembre 2015, l’Arcidiocesi ha convenuto in giudizio la sorella di Elsa, davanti al Tribunale di Busto Arsizio, "per ottenere la condanna al pagamento della somma di 368.542 euro (o, in subordine, di 255.834 euro), in virtù di legato che la stessa attrice (l’Arcidiocesi, ndr) riteneva essere stato disposto in suo favore". La domanda è stata rigettata nel 2016. E lo stesso è successo un anno dopo in Corte d’Appello di Milano. I giudici di secondo grado hanno sostenuto che la "controversa disposizione testamentaria" fosse da ritenersi "nulla per mancata indicazione e indeterminatezza del legatario, non potendo ravvisarsi il requisito della sua determinatezza nell’adozione dell’espressione utilizzata dalla testatrice con il mero riferimento dello scopo “Per la costruzione di nuove chiese della Diocesi di Milano“". A quel punto, i legali dell’istituzione ecclesiastica oggi guidata dall’arcivescovo Mario Delpini si sono rivolti alla Suprema Corte per ottenere la cassazione della sentenza impugnata e un nuovo processo di merito. Richiesta accolta dagli ermellini, secondo i quali i giudici d’Appello avrebbero dovuto tener conto del fatto che "l’interpretazione del testamento è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca della volontà del testatore", con un esame "globale" della scheda testimentaria esteso anche a "cultura, mentalità e ambiente di vita del testatore". Non "un’esegesi asettica e astratta di norme del diritto canonico" sulla differenza tra Diocesi e Arcidiocesi, bensì una valutazione attenta dell’espressione, "calandola nella realtà vissuta dalla testatrice (abituale frequentatrice degli ambienti parrocchiali)". Di più: non è stata attribuita "la dovuta considerazione alla finalità" che Elsa "intendeva perseguire dopo la sua morte, ovvero di devolvere la somma indicata all’iniziativa diocesana indirizzata alla raccolta di fondi da destinare all’edificazione di nuove chiese, che avrebbe dovuto essere gestita dalla competente Arcidiocesi". Conclusione: tutto da rifare.

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