"Milano è viva" Quando periferia è solo uno slogan

Diego

Vincenti

Il compito non sembrava così gravoso. Anche perché i soldi (2,5 milioni di euro) provenivano dal Ministero della Cultura e anche la direttiva era chiara: "Sostenere lo spettacolo dal vivo nelle zone meno centrali della città". Ovvero i quartieri oltre la circonvallazione della 9091.

Il Comune insomma doveva solo mettere in campo le sue competenze e la conoscenza del territorio per indirizzare le risorse nel modo più opportuno attraverso il bando "Milano è viva". Ma qualcosa è andato storto. E ora monta l’insofferenza. Bizzarre d’altronde alcune decisioni della commissione che ha giudicato 111 progetti.

Fra questi 71 avevano i requisiti richiesti ma solo 47 sono poi stati finanziati con tagli da 15, 45 e 90mila euro. Tre finestre. Subito a creare un’incomprensibile rigidità amministrativa e progettuale. Il tutto per programmare una serie di iniziative nei vari municipi, fra l’estate e dicembre. Questi i fatti.

Quali dunque le critiche? Intanto il non aver messo alcun filtro d’entrata, cosa che ha permesso a realtà ampiamente supportate come il Piccolo o La Scala di aggiudicarsi i 90mila euro (ma non è già nella loro mission la progettualità sul territorio?). Il secondo aspetto riguarda le scelte.

Stendendo un velo pietoso su alcuni selezionati, rimane gravissimo non avere inserito realtà che da sempre operano in linea con il bando. Da ATIR alla Contraddizione (sul loro sito un documento che vale la pena leggere), dal Pim alla Scuola di Arti Circensi. Con la beffa che le loro proposte sono state ammesse ma non finanziate per esaurimento fondi. E come loro tanti: Carcano e Litta, Martinitt e AltaLuce, Arsenale e Tertulliano. Il festival "Risveglio di Periferia" di Linguaggicreativi non è nemmeno stato ammesso e non si capisce se sia stato un vizio di forma o altro, visto che il Comune latita nelle risposte.

Preoccupante questa regressione nel dialogo fra le parti.

Un’ultima considerazione sull’idea delle periferie da nobilitare con il faro della cultura, stanca retorica paternalistica che alimenta il discorso politico.

Sono ormai decenni che si assiste al processo di gentrificazione e di turistificazione di Milano, sarebbe quindi ora di iniziare a ripulire il linguaggio dai cliché legati ai quartieri esterni alla circonvallazione, che sono nei fatti la parte ancora viva della città, baluardi spesso di una milanesità per il resto ampiamente fraintesa e brandizzata.

È in queste strade che si respirano progetti, furia, orgoglio.

La cultura è già nelle periferie. E non è figlia di un dio minore. Va solo riconosciuta e supportata, affiancandole servizi e interventi strutturali.

In una visione progettuale a lungo termine, intellettualmente onesta, che trovi energia in chi già opera sul territorio. Perché in periferia gli slogan stancano in fretta.

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